nire al lettore non propriamente filologo gli elementi che
servissero a una agevole intelligenza dell’opera aristofanesca. Potrà parere che talvolta sia andato un po’" troppo
per le spicce. Ma non volevo appesantire di troppa erudizione un lavoro che aspira unicamente a render più popolare in Italia l’opera dell’arguto poeta d’Atene. E la parte
Fig. 33 (pag. L1V)
essenziale ne riesce intelligibile senza troppe glosse ad
ogni attento lettore. Se non fosse così, mi sarei risparmiata
la decenne fatica di farla italiana.
Non mi rimane che ringraziare quanti più o meno direttamente s’interessarono al mio lavoro. E in primo luogo
il mio pensiero corre al mio maestro Enea Piccolomini,
che ne vide e incoraggiò i primissimi saggi, a Salvatore di
Giacomo e a Genuino Ciccone, che collaborarono addirittura con me, traducendo nei loro dialetti, napoletano e