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CANTO VI. 8.J parte e per nimixtacle, sono tutte inmalq ventura. Poscia si è Toscana^ Pisa, Poriovenerc, la riviera ili Genova, e tiene fino al principio di Provenza: le quali stanze sono tutte universalmente in tribolazione. Infra terra si è Lombardia, nella quale similmente sono discordie, brighe e tirannie. Lo simile è nella Marca Trevigiana in fino a Vineqia (i). Alle parole del ghibellino Poela contro Firenze, ripelule dallo storico guelfo Giovanni Villani, fa doloroso comenlo quel di Gi(»Vi«nni Boccaccio. La nostra città, più che altra, è piena di mutamenti, in tanto che per esperienia tuttodì vegqiamo verificarsi il verso del nostro Poeta: «CU’ a mezzo novembre Non giunge quel che tu d’ottobre fili» Dante qui nega a Firenze non solo la pace ed il senno, ma fin la ricchezza, dacché le Ire coso congiunge in un’ironia, esli che altrove dice cagione de’ mali di lei i subiti guadagni (S), e dice le magnificenze de’ colli romani vinto da quelle d’un poggio fiorentino (3). Intendeva forse che la ricchezza sùhita di pochi era avviamento a rovina; e’ si figurava sotto governo migliore Firenze ancora più ricca: non credo |)cr altro chVglì desiderasse equabilmente di!>lribuile a tutti o a’ più de’ cittadini le ricchi^zze e gli agi, e ì diritti di qutille, desiderio maggiore del suo tempo; cicliche due volle qui nomina quasi con ischerno il popolo, ed altiove contrappone 11 cieco toro, che sono i plebei, al cieco agnello, che sono i gentiluomini mansueti Nel Convivio egli esclama accorato; Oh misera; oh misera patria mia/.. E dice, che ogniqualvolta pensa tose che al governo di Stati riguardano, piange su lei. Dalle cose toscane vedeva il Poeta dipendere le lombarde, e lo dice nella lettera a Enrico VII sua suprema speranza. E in quella medesima lettera si duole dell’indugiare dì lui all’assedio di Brescia, così co<ne in questo Canto si duole del non calare d’Alberto. E se nulla di noi pieiì ti muove, A vergognar ti vien’della tua fama. Parole che consuonano a certe altre di Giove in Virgilio e notisi che nella terzina seguente Dante si volge al sommo Giove^ Cristo crocifisso, e gli dimanda se gli occhi suoi sono altrove rivolti; ma poi ammenda il dubbio irriverente con un pensiero degno di filosofo cristiano che sente, il male essere preparazione di beni nij^giori. Giove dunque per iscuolere Enea dall’amor di Bidone, gli fa dire per Mercurio: Si nulla accendit tantarum gloria rerum, Nec super ipse sua molitur laude labonm, Ascanione pater rotnanas invidet arces? (i). 11 Poeta che dappertutto vedeva i fati dell’aquila, e nel sesto del Paradiso ne tesse la ^fiia, avrà forse ricomisciulo Did(me nella Germania, che involava Alberto e Rodolfo all’Italia e alla vedova Roma. Ma Rodolfo dal venire in Italia s’astenne practeritorum Caesarnm infortuniis admonìtus{$ì. Quasi dire si può dello iwperadore.. ch’etti sìa il cavalcatore della umana volontà; lo guai cavallo, come vada sanza il cavalcatore per lo campo, assai i manifesto; e spezialmente nella misera Italia (6), La |)rotezìone dell’impero accom|)agnata di consigli e minacele, di lancie e di patiboli a lui pareva rimedio necessario alle discordie italiane, tuttoché violento: e dei Guelfi diceva: Vt flagitia sua exegui possìnt, matrem prostituunt, fratres expellunt, et denique jud cem habere nolunt (7). Il verso; Se bene intendi ciò che Dio ti nota, da Pietro comentasì recando il virgiliano: Regemque dedit (1) Ottimo. (.5) Palarol., Ser, Aug., If, 107. (2) Inf., XVI. (6) Conv. C») Par., XV. (7) De Menar. (l).fin., IV.