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c a n t o iv. | 77 |
112Allor si volse a noi, e puose mente,
Movendo il viso pur su per la coscia,
E disse: Or va tu su, che se’ valente.
115Cognobbi allor chi era; e quella angoscia
Che m'avacciava un poco ancor la lena,1
Non m’impedì l’andare a lui, e poscia
118Che a lui fui giunto, alzò la testa a pena,
Dicendo: Ài ben veduto come il Sole
Dall’umero sinistro il carro mena?
121Li atti suoi pigri e le corte parole
Mossen le labbra mie un poco a riso;
Poi cominciai: Belacqua, a me non dole
124Di te omai; ma dimmi, perchè assiso
Qui ritto se’? Attendi tu la scorta,
O pur lo modo usato t’ài ripriso?
127Et elli: O frate, andar in su che porta?
Che non mi lasserebbe ire a’ martiri
L’uccel di Dio, che siede in su la porta.2
130Prima convien che tanto il Ciel m’aggiri
Di fuor da essa, quanto fece in vita,3
Perch’io indugiai al fine i buon sospiri;
133Se orazion in prima non m’aita,
Che surga su di cuor che in grazia viva:
L’altra che val, che in Ciel non è udita?
136E già il Poeta inanzi mi saliva,
E dicea: Vienne omai, vedi ch’è tocco
Meridian dal Sole, e da la riva4
139Cuopre la notte già coi piè Marrocco.
- ↑ v. 116. C. A. m’avanzava
- ↑ v. 129. C. A. che giace in
- ↑ v. 131. quant’io feci
- ↑ v. 138. C. A. , che alla riva
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