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[v. 46-57] | c o m m e n t o | 815 |
nendo poi Edippo filliuolo del re Laio di Tebe a quil luogo, solvè lo problema, dicendo che questo era l’omo, che prima andava coi piedi e co le mani quando è fanciullo, possa va con du’ quando è cresciuto poi va1, con tre quando è vecchio: imperocchè s’appoggia al bastone; e ditto lo problema volse combattere col mostro e gittollo a terra de la spilonca et ucciselo; e però dice l’autore, e tale, Qual; narrazione, Sfinge; cioè quil mostro, nette e persuade; cioè compone e conforta a chi passa che lo solva, Perch’a lor modo lo intelletto acuia; cioè e perchè dico che la mia narrazione è buia quale era quella di Temi e di Sfinge: imperò ch’ell’assottillia et oscura lo intelletto suo al loro modo; cioè a modo che oscurava Temi e Sfinge lo intelletto de la sua narrazione, Ma tosto fin li fatti; cioè che avverranno, le Naiade; cioè le iddie che2 sporranno la mia oscura narrazione, come quelle soleano sponere la narrazione di Temi, Senza danno di pecore o di biade: imperò che, come mandò Temi, non mandrà la bestia che devori lo bestiame e le biade, come fu ditto di sopra. Tu; cioè Dante, nota; quello ch’io t’abbo ditto, e sì come da me son porte Queste parole, si le insegna ai vivi; cioè a quelli del mondo le insegna queste parole, com’io te l’abbo dette, Di viver; cioè di quella vita, ch’è un correre a la morte3; Et aggi a mente; tu, Dante, quando tu le scrivi; cioè le parole ditte di sopra, Di non tacer quale ài vista la pianta; cioè l’arbore de l’obedienzia, Ch’è or du volte dirobata quivi; cioè l’una volta4 quando l’aquila si calò rompendo le foglie e li fiori e la scorsia, e l’altra volta fu quando lo preditto gigante disciolse ’l carro e menosselo via, e questo fu esposto di sopra. E qui si può muovere dubbio; cioè come è derobata la pianta, s’è menato via lo carro? A che si dè rispondere che, poi che ’l griffone legò lo carro a la pianta, lo carro e la pianta fu fatto una cosa, et era parte de la pianta; e così si può dire che la pianta sia stata rubbata due volte. Quel che s’intenda per la pianta, e per lo carro, e per l’aquila, e per lo gigante, e per lo rubbamento sposto fu di sopra.
C. XXXIII — v. 58-72. In questi cinque ternari lo nostro autore finge come Beatrice dichiara a Dante alcuna notabile cosa de la ditta pianta, dicendo così: Qualunque; cioè persona, rubba quella; cioè pianta, come fece lo gigante che ne levò la corte, o quella schianta; cioè rompe, come fece l’aquila che fa5 cascare le fronde e li fiori, e ruppe la scorsa perseguendo li santi, Con biastema di fatto: