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   814 p u r g a t o r i o   x x x i i i. [v. 46-57]

lei delinque; cioè con lei pecca e falle: imperò che li benefici si danno a sua volontà e le grazie si fanno a sua volontà; e non secondo li meriti de le persone, e secondo la ragione e la iustizia.

C. XXXIII — v. 46-57. In questi quattro ternari lo nostro autore finge come Beatrice dichiarò che li fatti serebbeno esposizione de la sua profezia; et ammonittelo che scrivesse com’era fatta la pianta de l’obedienzia ditta di sopra, dicendo così: E forse che la mia narrazion buia; cioè oscura, Qual Temi; questa Temi fu una iddia, secondo che finge Ovidio Metamorfosi nel I, che dava risposte de le cose che doveano venire al suo tempo, e davale sì oscure che non si poteano intendere se non quando li fatti avveniano: e però finge che rispondesse a Deucalione e Pirra, quando dimandonno come doveano acquistare la generazione umana, perduta per lo diluvio fatto in Tessalia al tempo del ditto re Deucalione: Partitevi del tempio e copritevi lo capo e scingetevi e gittate l’ossa de la grande madre di po’ le spalle vostre. Ne la quale risposta volse che s’intendesse che gittasseno le pietre (che sono l’ossa de la terra, la quale è la grande madre: però che ogni cosa genera) di po’ le spalle loro, e cusì fenno. E dice Ovidio che quelle che gittò Pirra diventonno femine, e quelle che gittò Deucalione diventonno omini. Avvenne uno tempo, nel quale si trovonno certe iddie che abitavano a le fonte et ai fiumi che si chiamavano Naiade, le quali sponevano le risposte di Temi; unde ella indegnata di ciò mandò uno porco, ovvero una fiera ne la contrada, benchè Ovidio nel vii dice una bestia che divorava le biade e lo bestiame: imperò che le persone aveano incominciato a lassare lo suo culto lo quale prima mantenevano, perchè dicesse loro più chiaramente le suoe risposte, poi che le Naiade le comincionno a sponere; e però l’autore dice: Qual Temi; cioè si è fatta oscura la mia narrazione, come fatta, Temi nette; cioè quella iddia ordina e coniunge, e persuade; cioè conforta li omini che debbiano fare; et adiunge l’autore: e Sfinge; questo fu uno1 che, secondo che dice Stazio ne la Tebaide, stava in una spilonca2 d’uno monte che era tra Tebe et Argos e Micene; et avea lo volto vergineo, lo collo di cavallo, li piedi come orso o leone, lo corpo come uccello pennuto, e l’ale e la coda a modo di pescio, come dice Orazio nel principio de la Poetria: Humano capiti cervicem pictor equinam ec., e chiunqua passava quinde, costringea a solvere questo problema: Quale era quello animale che prima andava con quattro piedi, poi con du’ e poi con tre; e se nol sapea dire, combattendo lo gittava a terra de la spilonca e divoravalo; e se lo sapea, senza combattere lo lassava andare via, se volea; per la qual cosa molti v’erano già periti. Ve-

  1. C. M. uno mostro che,
  2. C. M. spelonca