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   812 p u r g a t o r i o   x x x i i i. [v. 31-45]

solliciti; ma elli si sollicitava sè medesmo, tanto, che se io parlo teco; cioè io Beatrice, Ad ascoltarmi; cioè ad ascoltar me Beatrice, tu sii ben disposto; cioè tu, Dante. Questa è fizione poetica conveniente a la lettera; ma anco si può intendere che l’autore la facesse perchè lo suo cuore altro vaneggiava e lo suo pensieri sì, ch’elli medesimo si fece attento. Si come io fui, come io doveva, seco; cioè con Beatrice, approssimato col pensieri a lei, Dissemi: Frate; cioè Beatrice a me Dante, chiamandomi fratello, perche non t’attenti; cioè perchè non t’assiguri, A dimandarmi omai; cioè ingiummai, venendo meco; come tu vieni? Colui va con Beatrice che studia e legge la santa Scrittura. Come a color; ecco che adduce una similitudine a suo proposito, et intendesi qui, addiviene, che; cioè li quali, sono troppo reverenti parlando Inanti a suo maggior; come dinanti ai signori, Che; cioè li quali, non traggon la voce viva ai denti; cioè non vegnano con la voce fuora, sicchè s’intenda; così: Avvenne a me; cioè Dante, che; cioè lo quale, senza intero sono; cioè de la voce e del proferire, Cominciai io; cioè Dante: Madonna; ecco che onorando lei, la chiama madonna, Voi cognoscete mia bisogna: imperò che con Beatrice è la grazia di Dio, lo quale sa tutti li nostri bisogni; e però bene dice ch’ella sa tutti suoi bisogni, e non solamente sapete li miei bisogni; ma eziandio sapete, e ciò ch’ad essa; cioè a la mia bisogna, è bono; cioè è utile; e però dite voi e non aspettate ch’io dimandi: così si dè l’omo rimettere ne la grazia d’Iddio e non dè dimandare nei suoi bisogni, che Iddio li sa mellio che noi, e quello che c’è utile; e però a lui si dè lassare provvedere.

C. XXXIII — v. 31-45. In questi cinque ternari lo nostro autore finge come Beatrice, dandoli prima sigurtà, li dichiara alcuna cosa de le vedute di sopra, dicendo così: Et ella; cioè Beatrice, a me; cioè Dante disse, s’intende: Da tema e da vergogna Vollio; io Beatrice, che tu; cioè Dante, omai ti disvoluppe; cioè ti liberi sì, che tu non abbi più paura, nè vergogna, Sì che non parli omai; cioè ingiummai tu, Dante, com om; cioè come omo, che sogna: chi sogna non parla espedito; ma agognando. Sappi; cioè tu, Dante, che ’l vaso; cioè lo carro che figura la Chiesa, che ’l serpente ruppe; cioè lo quale lo dragone ditto di sopra fesse co la coda e tiròne del fondo, come ditto fu di sopra, Fu; cioè vaso, e non è; cioè ora: imperò che ’l vaso dè essere intero, quello non è intero; dunqua non è più vaso. Questo è secondo la lettera; ma allegoricamente intende che la Chiesa di Roma non sia più intera e però non è vaso, che ’l vaso dè essere intero, altramente non è vaso, come ditto è, perchè non è unita insieme; ma divisa: et è fatta per la maggior parte di spirituale carnale, e di virtuosa viziosa; e questo cavò l’autore de l’Apocalissi del capitolo xvii, quando disse: Bestia, quam vidisti, fuit et