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quando li virtuosi seranno beatificati o quando Cristo verrà ad iudicare, et allora si farà iustizia dei peccatori. E così allegoricamente intende che i predicatori de la santa Teologia confortino li virtuosi e santi uomini, che si turbano dei mali che vedeno fare a sè che abbino pazienzia che tosto serà lo fine e farassene ancora iustizia. E cusì insegna ancora l’autore ai lettori che s’arricordino de la ditta autorità de l’Evangelio, quando pilliano turbazione di sì fatte cose; e se volessi dire come è pogo che è durato già tante centonaia1 d’anni, rispondoti che ogni tempo finito è pogo a respetto di quil che non à mai fine. Poi; cioè che ebbe ditto le ditte parole al loro conforto, le si misse inanti tutte e sette; sempre la Teologia manda inanti a sè in ogni suo atto le ditte virtù: imperò che sempre seguita quelle, E dopo sè; cioè di rieto a la Teologia, solo accennando; cioè solamente col cenno2, mosse Me; cioè Dante, e la donna; cioè Matelda, e ’l savio che ristette; cioè che rimase meco, quando Virgilio se n’andò; cioè Stazio. E per questo dà ad intendere che la sensualità di Dante e la dottrina de la Teologia e lo ingegno dello intelletto suo pur col cenno si mosseno di rieto a la Teologia; cioè avendo pur suo3 seguito.

C. XXXIII — v. 16-30. In questi cinque ternari lo nostro autore finge come Beatrice si mosse e come l’ammonì che li andasse presso sì, ch’elli intendesse li suoi ragionamenti, dicendo così: Così sen giva; cioè Beatrice, come ditto fu di sopra, e non credo; cioè io Dante, che fosse Lo decimo suo passo in terra posto; cioè non era anco ita diece passi, Quando colli occhi; cioè suoi, li occhi mi percosse; cioè percosse li occhi miei; cioè scontronnosi li suoi occhi coi miei. Questo è secondo la lettera; ma secondo l’allegoria che non avea anco passato diece orazioni di quella parte del libro de l’Apocalissi di santo Ioanni, lo quale elli studiava quando componeva questa parte di queste figurazioni, e di quinde le cavava; ben ch’elli le trasmutasse et arrecassele a sua intenzione, che la ragione e lo intelletto suo fu percosso da lo intelletto che ebbe santo Ioanni in quella parte, quando disse: Bestia, quam vidisti, fuit et non est; sì che li venne voglia di metterla qui appresso, e però fa questa figurazione. Chi guarderà nel ditto libro lo capitolo xvii che incomincia: Et venit unus de septem angelis, elli vedrà che da questo principio dov’è la figurazione de la meretrice che fornica coi re de la terra a quella sentenzia che detta è, cioè: Bestia, quam vidisti ec., non va diece passi d’orazione4 contenenti per sè perfette sentenzie. E con tranquillo aspetto; cioè con ragguardarmi riposatamente, Mi disse; cioè a me Dante Beatrice: Vien più tosto; ecco che finge ch’ella lo

  1. C.M. centinaia
  2. C. M. nel cenno,
  3. C. M. suo segno.
  4. C. M. d’orationi
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