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766 | p u r g a t o r i o x x x i. | [v. 91-102] |
dealbabor. Questo è uno verso del salmo Miserere mei, Deus, secundum magnam misericordiam tuam ec., lo quale si canta la domenica mattina nel coro, quando lo sacerdote viene ad aspergere lo coro, per cacciare via l’immundi spiriti; e così finge l’autore che cantasseno li angiuli, quando si dovea aspergere nel fiume Lete, sì dolcemente udissi; cioè cantare delli angiuli per Stazio e per me, Che io; cioè che io Dante, nol so rimembrar; cioè non so arricordare, non ch’io lo scriva; ora qui la dolcessa di quil canto. La bella donna; cioè Matelda, ne le braccia aprissi; cioè aperse le braccia, Abbracciòmi la testa; cioè a me Dante, per tirarmi fuor dell’acqua ne la quale io era in fin la gola, e presemi poi in balia, e me sommerse; poi nell’acqua col capo, attuffulandomi nell’acqua, Onde; cioè per la quale summersione, Convenne ch’io; cioè che io Dante, l’acqua inghiottissi; cioè inghiottissi dell’acqua di Lete, secondo la sentenzia di Virgilio che dice: Animæ quibus altera fato Corpora debentur curarum oblivia potant Fluminis in ripa ec. Benchè l’autore in questa fizione seguitassi Virgilio; niente di meno ebbe in ciò allegorico intelletto: imperò che l’autore intese che, poi ch’elli ebbe la debita contrizione dell’errore suo, Matelda, che significa l’autorità sacerdotale: imperò che Matelda si può interpetrare, mathesim laudans; cioè lodante la divinazione, o vero la scienzia d’Iddio, l’assolvesse: imperò che al sacerdote s’appartiene di predicare e lodare la scienzia divina, e co la sua dottrina menare lo peccatore per l’acqua de la mundazione, e co la sua autorità sacerdotale assolverlo. E però àe finto l’autore che Matelda lo mettesse nell’acqua infine a la gola, a significare che lavò tutte le membra corporali, nei quali era stato l’atto del peccato, o mentali, ne’ quali era stata la volontà del peccato; e poi la testa ne la quale sta la memoria del peccato, e così lo rendè tutto mondo lavando dall’una ripa, cioè da quella di qua, la volontà e l’atto del peccato, e dall’altra ripa la memoria: imperò che dall’uno lavamento si viene all’altro. E così si rende l’anima a lo stato de la innocenzia e trovasi nel paradiso delitiarum, dove li nostri primi parenti funno innocenti e stettenovi tanto, quanto durò loro la innocenzia, poi ne funno cacciati; e però finge lo nostro autore che a cusì fatto stato venisse elli inanti, che potesse sallire a vedere lo paradiso terrestre prima, e poi lo celeste.
C. XXXI — v. 103-117. In questi cinque ternari finge lo nostro autore come, poi che fu lavato e beve dell’acqua di Lete che significa dimenticagione del peccato e del fomite del peccato e stato d’innocenzia, fu menato così bagnato tra le quattro donne che dansavano da la sinistra rota del carro, in sul quale era Beatrice, dicendo così: Indi; cioè di quil luogo, da quella ripa, mi tolse; cioè me Dante la ditta donna, cioè Matelda, e bagnato m’offerse Dentro a la dansa delle quattro belle; cioè donne che ballavano da la sinistra rota del