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762 | p u r g a t o r i o x x x i. | [v. 43-63] |
tile, e viene da sterno, nis, che sta per abbattere: tutte le cose temporali sono fallaci; lo piacere de lo intelletto letterale e morale de la santa Scrittura è cosa temporale: imperò che dura a tempo e però è cosa fallace; lo spirituale intelletto è perpetuo, e però è vero bene, e però dice, levar suso. Seguita lo parlare incominciato, intendendo sempre a la similitudine, cioè come l’uccelatore per avere l’uccello lo saetta, e l’uccello se non è percosso si leva e fugge suso in aire; così dovei fare tu, Dante, che avei già veduto uno colpo ch’era tolto via lo piacere del mio intelletto letterale e morale, ben ti dovei levar suso come fa l’uccello, Di rieto a me; cioè seguitando lo intelletto spirituale, cioè allegorico et anagogico di me Beatrice, che; cioè la quale, non era più tale; cioè non era a te più carnale; ma spirituale. Non ti dovea gravar le penne in giuso; seguita la similitudine: l’uccello che à grave penne è tardo a levarsi, e però alcuna volta se non è invenuto col primo strale è invenuto col secondo; e così tu, Dante, non ti dovei co li tuoi pensieri atterrare: come le penne levano in alto l’uccello; così li pensieri levano suso e gravano giuso la mente umana, Ad aspettar più colpi: quando l’uccello si leva non aspetta più colpi; ma quando non si leva aspettane ancora; così l’omo, se non si leva col pensieri da le cose del mondo, aspetta anco dei colpi de la fortuna; s’elli se ne leva, non n’aspetta più, o pargoletta; cioè o pargulità e disavvedimento per tenera età non ti dovea gravare le penne in giuso aspettar più colpi, O altra novità con sì breve uso; cioè o altra novità che fusse in te Dante, che d’età e di tempo, con sì breve uso; come fu l’uso del sommo piacer che tu avesti di me. Et arreca la similitudine: Nuovo augelletto; lo quale non à ancora esperienzia de le cose, du’ o tre; cioè tirate d’arco o di balestro, aspetta; che non fugge, Ma dinanzi dall’occhio dei pennuti; cioè de li uccelli, che ànno tempo che sono esperti: l’uccello quando à tempo è pennuto, l’uccellino à le calugine e non le penne, Rete si spiega; per tirare e coprire l’uccello, indarno: imperò che nollo aspetta, o si saetta: imperò che fugge, come vede tirare l’arco o lo balestro; e cusì dovei fare tu, Dante, che non eri sì nuovo, che tu non ti dovessi accorgere de la falsità di questi beni mondani.
C. XXXI — v. 64-75. In questi quattro ternari lo nostro autore finge come per la riprensione fatta di sopra da Beatrice elli, rimaso come mutolo per la vergogna, fu ammonito da lei che levasse suso lo volto, acciò che più avesse dolore del suo errore. Dice così: Qual i fanciulli; ecco che fa una similitudine di sè ai fanciulli, vergognando muti; cioè mutuli, Colli occhi a terra stannosi ascoltando; la riprensione, E sè ricognoscendo; avere errato, e ripentuti; del loro fallo, Tal mi stava io; cioè Dante, et ella; cioè Beatrice, disse: