49Ma Virgilio n’avea lassati scemi
Di sè, Virgilio dolcissimo padre,
Virgilio, a cui per mia salute die’mi;1
52Nè quantunqua perdè l’antica madre,2
Valse a le guance nette di rugiada,
Che lagrimando non tornasser adre.
55Dante, perchè Virgilio se ne vada,
Non pianger anco, non pianger ancora:
Chè pianger ti convien per altra spada.3
58Quasi ammirallio, che ’n poppa et in prora
Viene a veder la gente che ministra
Per li altri legni, et a ben far li accora;4
61In su la sponda del carro sinistra,
Quando mi volsi al suon del nome mio,
Che di necessità qui si rigistra,
64Viddi la donna, che pria m’appario
Velata sotto l’angelica festa,
Drizzar li occhi ver me di qua dal rio.
67Tutto che ’l vel che li scendea di testa,
Cerchiato de la fronde di Minerva,
Non la lassasse parer manifesta.
70Regalmente nell’atto ancor proterva
Continuò, come colui che dice,
E ’l più caldo parlar dietro riserva:5
73Guardami ben: ben son, ben son Beatrice:6
Come degnasti d’acceder al monte?
Non sapei tu che qui è l’om felice?7
- ↑ v. 51. Die’mi; dicimi, mi diei. Ved. T. II. p. 640. E.
- ↑ v. 52. C. A. perdeo
- ↑ v. 57. C. A. altra strada.
- ↑ v. 60. C. A. Per gli alti legni ed a ben far la incuora;
- ↑ v. 72. C. A. diretro serva:
- ↑ v. 73. C. A. Guardane
- ↑ v. 75. Sapei; sapevi, sottrattone il v dall’ultima sillaba, come si costumava in tutte le persone dell’imperfetto della seconda e terza coniugazione. E.