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[v. 46-60] | c o m m e n t o | 63 |
possa essere d’alquante. Chè, se potuto aveste veder tutto; cioè ogni cosa col vostro intelletto, Mestier non era parturir Maria: cioè non era bisogno che il Filliuolo di Dio prendesse carne umana, la quale elli prese ad aprire la porta del cielo, all’umano intelletto per lo peccato d’Adam chiusa; al quale intelletto se fusse Dio stato ignoto, non arebbe l’omo avuto beatitudine; la quale beatitudine 1 è avere notizia di Dio, di tutte le cose, la quale solamente s’ àe dall’anime beate, separate dal corpo, le quali vedendo Dio, vedeno ogni cosa, secondo che dice la Santa Scrittura: Quid est quod non videant, qui videntem omnia vident? — E disiar; cioè desiderare, vedeste; voi, omini, cioè di veder tutto, senza frutto: imperò che in vano fu lo loro desiderio, Tai; cioè sì fatti omini, che sarebbe il lor disio; cioè desiderio, quetato; cioè contento, se fusse stato possibile a l’omo di saper tutto: sì fatti ingegni ebbeno escessivi sopra li altri, Ch’eternalmente è dato lor per lutto. Demostra qui che la pena delli scienziati, ch’elli finge essere nel castello ch’elli finse essere nel limbo, sia solamente lo desiderio del sapere lo quale non si può quetare: imperò che non possano vedere Dio, et in questa pena staranno sempre. Io dico d’Aristotile e di Plato; di questi filosofi fu detto ne la prima cantica, dove si fa menzione di loro; chi vuole notizia di loro, ritrovili quive, E di molti altri; cioè filosofi, che funno di grande sapere e di grande ingegno; e qui chinò la fronte; cioè Virgilio, vergognandosi d’essere stato di quelli, e che sì alti intelletti errasseno in questo che volesseno comprendere le cose spirituali per quel modo, che coinprendeano le cose corporali. E più non disse; cioè Virgilio allora, e rimase turbato; dolendosi di non poter contentare lo suo desiderio. E per questo dà ad intendere, secondo la lettera, che Virgilio fusse di quelli savi omini; e secondo la moralità intende di sè medesimo che anco ebbe quel pensieri, di che ora si duole e pentesene.
C. III— v. 46-60. In questi cinque ternari finge lo nostro autore come elli e Virgilio pervenneno a piè del monte, e come apparì loro nuova gente, dicendo così: Noi; cioè Virgilio et io Dante, devenimmo intanto; cioè mentre che Virgilio disse le parole dette di sopra, a piè del monte; del purgatorio: Quivi trovammo la roccia; cioè la ripa, sì erta; cioè sì ritta, Che indarno vi sarien le gambe pronte: però che non vi si potrebbe montare. E per questo si nota che molti gradi di penitenzia sono sì ardui e malagevili, che eziandio co l’affetto invano s’aggiungerebbeno, et adduce una similitudine a manifestamento dell’erta del monte, dicendo così: Tra Lerici; questa è una terra di Genovesi, che finisce 2 la riviera da levante che è nel