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amici; cioè col mondo e col dimonio e fanno imprigionare al signore lo spirito e tutti li officiali, e mettenovi uno loro vicario che si chiama ostinazione, e questa tura 1 li orecchi al signore; sì che, ben che la coscienzia gridi e tutta la corte, lo signore non ode. E così diventa l’omo servo del dimonio, perchè in luogo de la coscienzia è venuta l’ostinazione; e però dice: O coscienzia dignitosa; cioè piena di dignità, e netta: imperò che niuno fallo sostiene, non può essere tanto picculo 2, che non gridi contra esso, e però dice: Come t’è picciol fallo amaro morso! Quasi dica: A la degna e netta coscienzia ogni picculo fallo dà grande et amara rimorsione: la rimorsione del peccato è riprender sè medesmo del peccato fatto, e dolersi d’averlo fatto.

C. III— v. 10-24. In questi quattro ternari lo nostro autore finge che, avuta debita rimorsione del fallo commesso, ritornò al proposito; e vedendo pure una ombra inanti a sè, finge ch’avesse paura d’esser abbandonato da Virgilio, e però dice: Quando li piedi suoi; cioè di Virgilio; e per questo s’intende lo desiderio e l’affezione de la ragione di Dante, secondo la moralità, lassar la fretta; di correre al monte, come avea confortato Catone, al quale, secondo la lettera finge Dante che corresse Virgilio, et elli dirieto a lui, come l’altre anime corseno; ma secondo l’allegoria intende dell’affezione dell’animo che viene spesse volte sì ardente, che l’omo corre a la penitenzia senza avere discrezione e considerazione; la quale cosa è mancamento d’onore e del dovere; e però dice: Che; cioè la qual fretta, l’onestade; che s’appartiene al savio: onestà è mantenimento d’onore; lo quale onore è premio in questa vita de la virtù, ad ogni atto dismaga; cioè manca in ogni atto virtuoso o grande o picculo che sia; et è notabile questo; cioè che la fretta manca l’onestà in ogni atto, La mente mia; cioè di me Dante, che prima era ristretta; secondo la lettera, a seguire Virgilio che andava ratto; e secondo l’allegoria, a considerare lo fallo, Lo intento rallargò; cioè rallargò sè a lo intento, cioè a la materia intesa; cioè ritornò alla materia presa a trattare; o volliamo dire: Rallargò lo intento, cioè lo intendimento che s’era ristretto ad avere dolore de la negligenzia commessa, sì come vaga; cioè de la materia incominciata, E diedi il viso mio; cioè lo veder mio, incontro al poggio; cioè incontra ’l monte del purgatorio, considerando la sua altessa e malagevilessa, Che inverso il Ciel più alto si dislaga; cioè da quella parte dove più alsa inverso il cielo. Lo Sol, che dietro fiammeggiava roggio; cioè la spera del Sole che era come fiamma risplendiente 3, Rotto m’era dinanzi; cioè appariva rotta dinansi da me, a la figura; cioè all’om-

  1. C. M. tura e serra li
  2. C. M. piccolo,
  3. C. M. risplendente