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[v. 34-42] | c o m m e n t o | 673 |
chia, nè segno di peccato, Avvegna che si mova bruna bruna; e quanto all’apparenzia, Sotto l’ombra perpetua; cioè sempre durabile per li arbuscelli che vi sono di sopra, che mai non perdeno frondi; e però dice: che mai; cioè la quale mai, Raggiar non lassa Sole ivi, nè Luna; e questa è la cagione, per che l’acqua pare bruna. E benchè questo sia conveniente a la lettera, secondo li autori che diceno che nel paradiso terresto era eterna primavera; cioè perpetua, secondo l’allegoria si dè intendere che questa acqua di Lete chiarissima in sè, parente bruna sotto l’ombra perpetua delli arbori, significa li pensieri virtuosi che correno per l’anima purgata, li quali li tollieno la memoria dei vizi e dei diletti mondani passati; e benchè questi pensieri siano in sè chiari e belli, non appaiano perchè li sermoni santi, significati per li arbori, non lassano raggiare, cioè nei ditti pensieri rilucere, nè ritornare lo Sole; cioè la loda del mondo significata ora per lo Sole; nè la Luna, cioè la mutabilità de la vita, che è significata per la Luna: imperò che tali animi purgati stanno nei pensieri virtuosi, interi; e scorrendo quelli per tali animi, stanno li animi modesti sensa manifestare lo suo intrinseco, unde potesseno ricevere loda, nè mutabilità da quello proposito; de le quali cose la memoria ànno tolto li pensieri santi, venuti da la fonte di Dio, scorrendo sempre per sì fatti animi che sono purgati.
C. XXVIII — v. 34-42. In questi tre ternari lo nostro autore finge come, iunto al ditto fiume, guardando ebbe veduto di là dal fiume una bella donna che andava cantando e sciolgendo1 fiori tra li altri fiori, dei quali era piena tutta la via per la quale ella andava; e questa è quella donna che ’l sogno li figurò in persona di Lia, mollie che fu di Iacob, secondo che finse nel precedente canto, quando2 s’addormento in su la scala da montare al paradiso terresto, sicchè ora è l’avvenimento di quello che figurò lo sogno, dicendo così: Coi piè ristetti; quando io fui iunto3 al fiume preditto, e colli occhi passai; io Dante, Di là dal fiumicel; ditto di sopra, che si chiama Lete, per ammirare; cioè per ragguardare con meravillia, La gran variazion dei freschi mai; cioè dei freschi arbori che vedea di là dal fiumicello, li quali chiama mai, come si chiamano li rami delli arbori che arrecano molte persone a casa la mattina di calende4 maggio per ponere a la finestra o inanti all’uscio, li quali alcuno chiamano5 Kalen di maggio et alcuni chiamano mai. E là; cioè di là dal fiumicello, mi apparve, e dèsi pilliare quive; cioè, Una donna soletta; ecco la cosa che m’apparve, che si gìa; cioè la ditta don-