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[v. 124-142] | c o m m e n t o | 657 |
oggi serai sazio e refetto d’esso, sicchè ’l tuo desiderio serà quietato. e mai non funno strenne; cioè mancie, cioè annunziazioni primamente fatte la mattina, Che; cioè le quali, fosser di piacer a queste; che m’avea dato Virgilio, eguali; cioè pari; cioè non mi fu mai annunziato cosa che tanto mi piacesse. E questo finge: imperò che in questo quarto giorno vedrà la milizia celeste e lo nostro signore Iesu Cristo, come apparrà nell’altro canto seguente; e però dice che diventò via più desideroso del sallire, dicendo: Tanto voler; cioè tanto desiderio, sopra voler; cioè sopra lo desiderio ch’io avea prima, mi venne Dell’esser su; cioè nel paradiso terresto, ch’a ogni passo poi; ch’io facea, Al volo mi sentia crescer le penne; cioè le virtù le quali mi portavano in alto; cioè lo mio pensieri e la mia fantasia: imperò che sempre inalsava la materia e considerava cose più alte, come apparrà nel processo. Le penne sono le virtù co le quali la mente si leva in alto; unde Boezio nel quinto de libro preallegato dice: Sunt etenim pennæ volucres mihi, Quæ celsa conscendant poli, Quas sibi cum velox mens induit, Terras perosa despicit.
C. XXVII — v. 124-142. In questi sei ternari et uno versetto finge l’autore come montò suso al paradiso terresto; e come Virgilio lo licenzia e coronalo poeta, dicendo così: Come la scala tutta sotto noi Fu corsa; cioè la scala, che è dal settimo girone al paradiso terresto, fu tutta montata da noi tre ditti di sopra, e fummo sul grado superno; cioè di sopra a lo scalone, di sopra a tutti, In me; cioè Dante, ficcò: cioè fermò, Virgilio; lo quale m’avea guidato in fin qui, li occhi suoi; cioè guardòmi fisso. Allegoricamente la ragione significata per Virgilio fermò in verso la mia sensualità la discrezione del bene e del male che sono li occhi de la ragione, et indico1 che più inanti procedere nel processo non si può co la ragione: imperò che sono cose che si persuadeno co la fede; e però finge che dicesse quil che seguita. E disse; cioè a me Dante Virgilio: Il temporal foco; cioè quello del purgatorio, che dura a tempo, e l’eterno; cioè fuoco, cioè quello de lo inferno, che dura in perpetuo e mai non à fine, Veduto ài, fillio; cioè tu, Dante: imperò ch’io te l’ò mostrato, e guidatoti per entro, e se venuto in parte; cioè al paradiso terresto che è cosa che non si può provare per ragione, conviene credere per fede, Dov’io; cioè Virgilio, per me; cioè per lo mio cognoscere, più oltre non2 discerno; cioè non veggo, nè cognosco. Tratto t’ò qui; cioè infine a questo luogo, con ingegno e con arte: ingegno chiamano li autori lo naturale intendimento che