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     648 p u r g a t o r i o   x x v i i. [v. 34-48]

l’allegoria abbia inteso de la Santa Scrittura. E per mostrare l’affezione ch’elli avea a Beatrice, arreca una similitudine d’una fizione poetica, che pone Ovidio nel libro iv Metamorfosi, di Piramo e di Tisbe, dei quali dice lo prefato autore che funno di Babilonia; et essendo fanciulli e vicini, sicchè abitavano in case contigue, si puoseno amore e crescendo creve l’amore, e diventò l’amore disonesto lo quale era incominciato con onestà, et aveano trovato che ’l muro di mezzo tra l’una casa e l’altra avea una fessura per la quale, quando non erano veduti, si parlavano insieme. E non potendo avere quello che desideravano, si dienno in posta d’andarsi via insieme, et ordinonno di uscire la sera de la città; e dienosi la posta di capitare a la sepoltura del re Nino ch’era fuora de la città presso ad una fonte, apo la quale era uno bello gelso, dicendo che chi prima iungesse, aspettasse l’uno l’altro. Avvenne caso che Tisbe andò prima al ditto luogo, e non trovandovi Piramo si puose sotto ’l gelso ad aspettare Piramo. Mentre che aspettava, venne una leonessa, per bere a la fonte, la quale avea ucciso certe bestie, sicchè avea sanguinoso lo suo1 cieffo. Tisbe vedendo da lunga a lume de la Luna questa leonessa, ebbe paura e fuggitte ad appiattarsi; e quando fuggì li cadde uno suo mantello ch’ella avea a spalle. La leonessa, trovato questo mantello, incominciò a morderlo e stracciarlo, e così lo tinse di sangue com’ella avea sanguinosa la bocca; e, lassatolo poi stare, andò a bere, et andòsi via. Venuto poi Piramo al ditto luogo, cercava per Tisbe; non trovandola, vedendo lo mantello suo, lo quale ricognove sanguinoso e stracciato sotto ’l gelso, credette che fiere salvatiche avesseno divorato Tisbe. Per la qual cosa attristandosi et addolorandosi, parendoli essere stato cagione de la sua morte ch’era troppo penato a venire, col proprio coltello si percosse per lo fianco; e, cavatoselo de la ferita, lo sangue2 sprillò suso a le gelse bianche e tinsele. Fatto questo, Tisbe rassigurata tornò al gelso per vedere se Piramo fusse venuto, et ella3 trova che ’l gelso, che avea prima le gelse bianche, l’avea mutate in nere per lo sangue di Piramo, che era ito a la radice et era4 sprillato in su, sicchè l’avea mutate di colore; unde ella temea d’avere smarrito lo luogo. Ma vedendo in terra uno corpo, sentendolo lamentare, che non era ancora morto, pensò quil che era; e corsa là incominciò a piangere e lamentarsi amaramente, a chiamare Piramo dicendo: Piramo, rispondemi: la tua Tisbe ti chiama. Udendo lo nome di Tisbe, Piramo aperse un poco li occhi e ragguardolla, e poi costretto da la morte li chiuse: unde Tisbe per dolore si gittò in sul proprio

  1. C. M. lo suo ciaffo, o vero muso.
  2. C. M. isbrillò
  3. C. M. trovò
  4. C. M. isbrillato