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[v. 103-114] | c o m m e n t o | 631 |
dòsene, Nè, per lo foco, in là più m’appressai; cioè bench’io avesse, secondo la lettera, d’abbracciarlo volontà e di farli festa, per lo fuoco non ardiva d’accostarmili; et allegoricamente dimostra lo suo timore, che ebbe d’intrare a fare penitenzia di sì fatto peccato.
C. XXVI — v. 103-114. In questi quattro ternari lo nostro autore finge come, parlando con messere Guido preditto, contrasse strittissima carità con lui, dicendo: Poi che di riguardar; cioè quelli spiriti, pasciuto fui; cioè io Dante, Tutto m’offersi pronto; cioè apparecchiato, al suo servigio; cioè di messere Guido preditto, Co l’affermar che fa creder altrui; cioè co l’iuramento, che è affermare che fa credere. Et elli a me; cioè messere Guido disse a me Dante: Tu lassi tal vestigio; cioè tale segno d’amore e di carità, in me; cioè in me Guido, Per quel ch’io odo; cioè per lo parlare, ch’io odo da te, e tanto chiaro; cioè e tanto manifesto, Che Lete; che è fiume di dimenticagione, nol può torre; cioè lo ditto segno d’amore nol può torre, cioè non potrà partire da me; cioè che non si potrà dimenticare da me, bench’io abbia a bere dell’acqua del fiume Lete. Fingeno li Poeti che apo l’infernali a le confini dei campi Elisi, dove stanno l’anime felici, sia Lete, del quale bevendo, l’anime dimenticano cioe ch’ànno fatto, veduto e saputo in questa vita; e questo fingeano quelli che teneano che l’anime s’incorporasseno, per dare colore a la loro finzione; cioè che l’anime1 s’incorporavano, non s’arricordavano d’esserci state altra volta, perchè aveano bevuto Lete che è fiume di dimenticagione, sicchè aveano dimenticato ogni cosa e però non s’arricordavano d’esserci state altra volta; ma lo nostro autore acconcia questa fizione a suo proposito, sicchè non sia contra la fede, dicendo che due fiumi escano d’una fonte a la entrata del paradiso delitiarum; che l’uno corre in ver mano ritta, che si chiama Eunoe che fa arricordare l’anima d’ogni bene che à fatto; e l’altro che corre in ver mano sinistra, che si chiama Lete che fa dimenticare ogni peccato e male che l’omo avesse fatto in questa vita; e quello ch’elli intese per questa finzione lo sporremo quando saremo ad essa. Ma ora finge l’autore che messere Guido dica che tale segno di carità2, caente l’autore li à mostrato, non si potea fare dimenticare per lo bere di Lete: imperò che questo è virtù, e però non si può dimenticare, nè far bigio; cioè nè fare oscuro a tempo; cioè non si potea dimenticare in tutto, nè in parte. Ma se le tuo’ parole or ver giuraro; cioè che tengo che abbino iurato lo vero, che mi ti se’ sì offerto, Dimmi; tu, Dante, che è cagion, per che; cioè per la quale, dimostri; tu, Dante, Nel dir; le parole che tu dici, e nel