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p u r g a t o r i o x x v i. |
[v. 25-42] |
del cammino acceso; cioè per mezzo de la fiamma, Venne gente col viso incontra a questa; la quale venia in verso mano ritta, com’andava io Dante, La qual mi fece; cioè la quale gente fece me Dante, sospeso; cioè dubbioso, a rimirar; cioè ad avvisar da capo quil che facesseno. Là; cioè in quil luogo, veggio; io Dante, d’ogni parte; cioè de la gente1 che venia inverso noi, e da quella che venia con noi, farsi presta; cioè apparecchiata, Ciascun’ombra; cioè l’una in verso l’altra, e baciarsi una con una; cioè rendendosi pace, Senza restar, contente a breve festa; cioè contente di farsi festa brevemente, senza restarsi. E fa una similitudine, ch’elle faceano come le formiche che, quando si scontrano insieme, si reggeno et abboccano l’una l’altra come si volesseno parlare insieme, dicendo: Così per entro loro schiera bruna; cioè nera: imperò che le formiche sono nere, S’ammusa; cioè tocca lo muso dell’una lo muso dell’altra, l’una; formica, coll’altra formica; quando si scontrano, Forsi a spiar lor via e lor fortuna; cioè forsi per dimandare l’una l’altra de la via che dè tenere, e se à trovato de la biada pure assai, e come è faticosa o agevile la via o lunga o breve; e questa è fizione iocosa che l’autore pone qui, per dare qualche recreazione2 a lettore. Tosto che; cioè immantenente che si parteno l’una dall’altra, parten l’accollienza amica; cioè la bella ricevuta et amichevile, che à fatto l’una a l’altra, Prima che ’l primo passo li trascorra; cioè inanti che mutino lo primo passo, sicchè vegnino a l’altro passo, Sopra gridar ciascuna; cioè gente, cioè la venuta di nuovo e quella ch’era prima meco, s’affatica; per esser ben intesa s’affatica di gridare. La nova gente: cioè quella che venne di nuovo: Soddoma e Gomorra; gridava queste parole in opprobrio del peccato loro, come si manifesterà di sotto. Soddoma e Gomorra funno due città di quella contrada che si chiamava Pentapolis, perchè v’erano cinque città grandi et erano in uno piano tra du’ monti, che sono le confine d’Arabia e di Palestina; per la quale valle passava lo fiume Iordano, le quali peritteno tutte per l’abominabile e detestabile peccato contra natura, sì come è stato ditto di sopra nel canto xv de la prima cantica. E finge l’autore che questo gridasseno in confusione del loro peccato, e così accresceva la loro contrizione del peccato co la vergogna: imperò che costoro finge l’autore che fusseno colpevoli di sì fatto peccato. E l’altra; cioè gente che venia con esso noi, s’affatica a gridare: Ne la vacca intrò Pasife; che fu mollie del re Minos di Creta, Perchè ’l torello a sua lussuria corra: imperò che, innamorata del toro per ingegno di Dedalo, ebbe sua intenzione e generò lo Minotauro, come fu detto nel xii canto ne la prima cantica.
- ↑ C. M. dalla gente
- ↑ C. M. al lettore