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c a n t o   x x v i. 617

130Falli per me udir d’un pater nostro,1
     Quanto bisogna a noi di questo mondo,
     Dove poter peccar non è più nostro.
133Poi, forsi per dar luogo altrui, segondo
     Che presso avea, disparve per lo fuoco,
     Come per acqua il pescio andando al fondo.
136Io mi fei al mostrato inanzi un poco,2
     E dissi, che al suo nome il mio disir3
     Apparecchiava grazioso loco.
139El cominciò liberamente a dir:4
     Tan m’abelhis vostre cortes deman,5
     Qu’ieu m no puesc, ni vueilh a vos cobrir.
142Jeu sui Arnautz, que plor e vai cantan:
     Consiros vei la passada falor,
     E vei jauzen le joi que sper danan.
145Ara us prec per aquella valor,
     Que us guia al som d’estes calina:
     Souvenha us a temps de ma dolor.
148Poi s’ascose nel fuoco che li affina.

  1. v. 130. C. A. Fagli per me un dir di paternostro,
  2. v. 136. C. A. feci
  3. v. 137. C. A. disire
  4. v. 139. C. A. dire:
  5. v. 140. Il ch. M. Raynouard ristampò (Journal des Savans, 1830) i versi d’Arnaldo; ma noi qui li riporteremo come li ripublicò e tradusse Vincenzo Nannucci:
              Tan m’abelhis vostre cortes deman,
              Qu’ieu no m puesc ni m voill a vos cobrire.
         Jeu sui Arnautz, que plor e vai chantan:
              Consiros vei la passada folor,
              E vei jauzen lo joi qu’ esper denan.
         Ara us prec per aquella valor,
              Que us guia al som sens freich e sens calina,
              Sovenha us atemprar ma dolor.
    «Tanto m’abbellisce (aggrada) il vostro cortese dimando, che io non mi posso nè mi voglio a voi coprire (nascondere). Io sono Arnaldo, che ploro e vo cantando: consiroso (pensieroso, afflitto) veggio il passato follore (follia), e veggio gaudente la gioia che spero dinanti (tosto, presto). Ora vi prego per quel valore (virtù), che vi guida al sommo (alla sommità, alla cima) senza freddo e senza caldo, sovvegnavi d’attemperare il mio dolore».