76La gente, che non vien con noi, offese
Di ciò, per che già Cesar, triunfando,1
Regina, contra sè, chiamar s’intese:
79Però si parten, Soddoma gridando,
Rimproverando a sè, com’ài udito,
Et aiutan l’arsura vergognando.2
82Nostro peccato fu ermafrodito;
Ma perchè non servammo umana legge,
Seguendo come bestie l’appetito,
85In opprobrio di noi per noi si legge,
Quando partianci, il nome di colei,3
Che s’imbestiò ne le imbestiate schegge.
88Or sai nostri atti, e di che fummo rei:
Se forsi a nome vuoi saper chi semo,
Tempo non è da dir, e non saprei.
91Farotti ben di me volere scemo:4
Son Guido Guinissello, e già mi purgo5
Per ben pentirmi prima ch’a lo stremo.6
94Quali ne la tristizia di Ligurgo
Si fer duo filli al riveder la madre,7
Tal mi fec’io; ma non a tanto insurgo.
97Quand’io odo nomar sè stesso il padre
Mio, e delli altri miei millior, che mai
Rime d’amor usar dolci e leggiadre;
100E senza udir e dir pensoso andai
Lunga fiata rimirando lui,
Nè, per lo foco, in là più m’appressai.
- ↑ v. 77. C. A. Di quel
- ↑ v. 81. C. A. E aggiunto àn l’
- ↑ v. 86. Partianci; ci partiano o partiamo. Ne’ primi scrittori ricorre frequente lo scambio dell’m in n alla prima persona plurale; e questa forma, che è secondo la lingua romana, si mantiene tuttora cogli affissi. Veggasi Purg. xxvii — v. 44 Volenci. E.
- ↑ v. 91. C. A. di me il volere
- ↑ v. 92. C.A. Guinicelli,
- ↑ v. 93. C.M. A. Per ben dolermi
- ↑ v. 95. Si fero i figli a