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   [v. 133-139] c o m m e n t o 611

te: imperò che s’alletta con beneficio ad amore, poi si diletta ne l’amore, e per lo diletto si ritiene. Sono connesse insieme: imperò che l’amicizia dè essere indissolubile, le quali fanno l’amicizie e sono ditte filliuole di Venere e di Baco: imperò che da benivolenzia e liberalità d’animo nascono, e sono dolce e buone. Ma Elice sentitte Cupido, che è amaro e vituperoso; e però dice l’autore in questa forma, a dare ad intendere questa fizione di Venere.

C. XXV — v. 133-139. In questi due ternari et uno versetto lo nostro autore finge che ancora udisse altri canti, che rispondeano a commendazione de la castità; e così finisce lo canto, dicendo così: Indi; cioè di poi a quil che è ditto di sopra, a cantar tornavano ancor donne; finge che siano state donne quelle che cantasseno l’inno ditto di sopra, e dicesseno: Virum non cognosco; a loda de la Virgine Maria, e così ritornasseno poi anco a cantare, e di po ’l canto, e nel canto, Lodavano i mariti; o loro, o d’altri, che; cioè li quali, fuor casti; cioè funno casti, come coloro che servonno debitamente lo matrimonio, Come virtute; cioè la continenzia, e matrimonio imponne; cioè la legge matrimoniale impone ai mariti che debbiamo essere casti, E questo modo; cioè che ditto è di sopra, di stare nel fuoco a purgare lo peccato de la lussuria; lo quale fuoco è pena digna a sì fatto peccato: imperò che come sono arsi nel mondo ne la concupiscenzia de la carne; così ardino per ristoro nel fuoco e desiderio de la continenzia e castità; lo quale modo è necessario a quelli del mondo che si volliono emendare di tal peccato; e però finge di quelli del purgatorio, secondo la lettera, per dare ad intendere allegoricamente e moralmente di quelli del mondo, credo; dice l’autore, che lor basti; cioè duri, Per tutto ’l tempo che il fuoco li abrucia; cioè tanto, quanto staranno nel fuoco a purgarsi di tal peccato: imperò che, quando fiano purgati, non fi’ bisogno più contrizione. Anco intendranno quelli del mondo a li altri gradi de le virtù, e quelli del purgatorio andranno a ricevere la gloria; benchè finge l’autore che le parole confortative a la castità dicano donne, e le vituperative de la lussuria dicano li omini come apparrà di sotto: imperò che disonestà serebbe che dicesseno quello che dirà di sotto. Con tal cura; cioè con tale contrizione, con cotai pasti; cioè con cotali ricreamenti de la virtù abbandonata da loro, convien Che la piaga da sezzo; cioè lo peccato de la lussuria, che è l’ultimo de’ sette peccati mortali, che piaga l’anima come lo coltello il corpo, si ricucia; cioè s’emendi e saldi, come si salda et emenda la ferita poi che è ricucita; o volliamo dire che ricucia si pogna qui impropriamente per saldare, cioè si risaldi: imperò che co le virtù si risaldano le piaghe dei vizi. E qui finisce il canto xxv, et incomincia il xxvi.