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p u r g a t o r i o x x v. |
[v. 121-132] |
comincia: Summac Deus clementiae — . Gridavano alto; cioè con alta voce li spiriti: Virum non cognosco; questa è la parola che rispuose la Virgin e Maria all’angiulo: Quommodo fiet istud, quoniam virum non cognosco, secondo che scrive santo Matteo nel suo evangelio; cioè che la Virgine Maria dicesse: Come si farà questo che tu dici, che io conceperò e parturirò: imperò ch’i’ò promesso d’osservare virginità, e questo è mio proposito? Unde finge l’autore che quelli spiriti gridino questo, a comendazione de la virginità che fu sì cara a la Virgine Maria, che sensa essa non arebbe accettato; e per maggiore convenienzia si dè intendere che femine fusseno state quelle che diceano: Virum non cognosco — . Indi; cioè ditto questo, ricominciavan; li ditti spiriti, l’inno bassi; cioè con la bassa voce, non gridando, ricominciavano da capo lo ditto inno. Finito questo, cioè inno sopradetto in fin presso alla fine: imperò che la fine non faceva a proposito, come appare a chi legge lo ditto inno1, gridavano; li ditti spiriti: Al bosco Si tenne; o vero stette, Diana; cioè la dia de la castità che fu chiamata Diana, la quale fingono li Poeti che fusse filliuola di Latona, e fu virgine et era cacciatrice et usava pure nei boschi per servare la sua virginità; e però dice lo testo stette, o vero si tenne; l’una e l’altra parola sta bene, et Elice caccionne; cioè del bosco; Diana cacciò Elice del bosco: questa Elice, che per altro nome fu chiamata Calisto, fu filliuola di Licaone re d’Arcadia, la quale essendo compagna di Diana fu ingannata da Giove et ingravidò di lui, e però Diana la cacciò de la sua compagnia, come fu ditto di sopra nel canto iv ne la cantica ii, Che; cioè la quale Elice, di Venere; cioè de la lussuria, avea sentito ’l tosco; cioè l’amaritudine e la infezione. Venere si dice la dia de la lussuria; ma ella si può dire mellio la volontà umana che genera la benivolenzia, la quale è nell’anima umana, la quale se s’inganna è ditta concupiscenzia e parturisce amore, lo quale disonesto e carnale è ditto Cupido; e se non è ingannata che vollia lo bene onesto, allora è ditta benivolenzia e genera da sè amore, et àe tre suore lo ditto amore che è onesto, e queste sono le tre Grazie; cioè Pansitea, Eugiale et Epersinne2, le quali si dipingono nude: imperò che tra li amici ogni cosa dè essere manifesta; e coniunte e connesse insieme: imperò che ogni cosa dè essere comune. L’una sta volto le reni a le du’, e porge loro lo pomo dell’oro alle du’, e le du’ ragguardano lei e ciascuna porge a lei lo suo pomo, a significare che la grazia si dè dare senza rispetto alcuno, e dè tornare duplicata. E la prima s’interpreta allettante: imperò beneficio prima dato alletta chi lo riceve ad amore; la seconda, demulcente e delettante; e la tersa, retinen-
- ↑ Da — Indi — a — inno, — giunta dal Magl.
- ↑ C. M. et Eufrosinne,