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[v. 121-132] | c o m m e n t o | 609 |
acciò che s’avvisino ai piedi, e non vadino avvisando qua e là: Però che errar potrebbesi per poco; da noi. E ben finge che ’l dica Virgilio, e significa la ragione: imperò che ragione è che, se l’occhio non guida lo piè ne li estremi1, che l’uomo caggia; e non sensa cagione finge che questa via sia così strema e periculosa, a denotare allegoricamente che la via che è tra questi due peccati; cioè gola e lussuria, è molto strema e periculosa: imperò che l’uno peccato ci manda ne l’altro; la lussuria in verso la gola, e la gola in verso la lussuria. E però la via, per la quale noi possiamo andare illesi dall’uno e dall’altro, è la via strema de l’astinenzia, la quale è freno de la gola: e, raffrenata la gola, è raffrenata la lussuria, e chi non va cautamente per essa può cadere ne la gola, e poi, perchè la gola è amica del ventre, ne la lussuria, la quale si purga in fuoco perchè ella è incentiva de la carne e de l’animo, sicchè non lassa riposare.
C. XXV — v. 121-132. In questi quattro ternari lo nostro autore incomincia a dire de le voci, ch’elli finge che si dicessono in quello settimo girone per quelle anime che si purgavano ne la fiamma ditta di sopra, dicendo così: Summae Deus clementiae; questo è uno inno che canta la s. Chiesa, che incomincia come detto è; et in esso dimanda che Iddio incenda li cuori del fuoco del Santo Spirito per sì fatto modo, che si cessi de la lussuria; e però finge l’autore che le dette anime lo cantasseno, nel seno Del grande ardor; cioè nel mezzo de la fiamma, allor; cioè in quil tempo, udì’; io Dante, cantando; cioè dall’anime ch’erano ne la fiamma, Che; cioè lo qual canto, ch’io uditti, di volger mi fe caler; cioè curare, non meno; che d’avvisarmi ai piedi. E viddi spirti; cioè poi che io mi volsi, per la fiamma andando; cioè mentre ch’io andava, viddi spirti ne la fiamma, Per ch’io; cioè imperò che io Dante, guardava loro; cioè li spiriti, et ai mie’ passi; cioè guardava ancora, e questa è la cagione per ch’io viddi spiriti mentre ch’io andava, per ch’io avvisava loro et anco ai miei piedi; e però dice: Compartendo la vista; cioè lo mio vedere, a quando a quando; cioè a tempo a tempo: imperò che parte del tempo avvisava li spiriti ch’erano nel fuoco, e parte m’avvisava ai piedi. Non sensa cagione finge l’autore che in questo luogo avesse maggiore bisogno di ponersi cura ai piedi, che nelli altri luoghi del purgatorio; ma per dimostrare allegoricamente e moralmente che, volendo trattare del peccato de la lussuria, era bisogno ch’avesse cura che li piedi; cioè l’affezione, non errasseno: però co l’affezione sola in tal peccato si può cadere. Appresso ’l fine ch’a quest’inno fassi; cioè a quello che ditto è, che in-
- ↑ Si avverta qui la ripetizione della particella che adoperata dai Classici, affine di rendere più spiccato il nesso di taluna proposizione. E.