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lo coltello. Finge l’autore che Virgilio s’avvegga de la dubitazione che avea e de la volontà del dimandare: imperò che ragionevilmente di quil, che ditto è di sopra, si può e dè dubbitare, e chi dubita dè ragionevilmente essere dichiarato. Allor; cioè quando fui confortato da Virgilio, siguramente apri’; io, cioè Dante, la bocca; mia a parlare: quando la sensualità è consilliata da la ragione di parlare, siguramente può parlare, E cominciai; cioè a dire: Come si può far magro; cioè l’omo, quando non à bisogno di mangiare, come può dimagrare, Là dove; cioè in quil luogo, nel quale, l’uopo; cioè lo bisogno, del nodrir non tocca; cioè in purgatorio, dove non è bisogno di mangiare, come possano l’anime dimagrare: imperò che in questa vita lo modo del dimagrare è lo digiunare e mancare lo nutrimento al corpo; ma quive, dove non è corpo, nè non si mangia, in che modo si dimagra? Questo è ora lo dubbio de l’autore: la cagione del dimagrare già è stata ditta di sopra; cioè che dimagrano per l’odore del pomo ditto di sopra e dell’acqua; ma lo modo non è stato anco dimostrato, e però questo è lo dubbio mosso ragionevilmente. E la verità è che l’autore muove questo dubbio, perchè viene contra la verisimilitudine de la sua fizione, che in purgatorio non sono queste cose; ma finge l’autore così, e perchè questo dubbio puoe stendersi et allargarsi; cioè come possano patire pena l’anime, come possano parlare, vedere, udire e così dell’altre cose, le quali non può fare l’anima se non coniunta col corpo, quando sono separate dal corpo; e restringersi a la sua fizione; cioè come è verisimile quello che tu fingi? Però finge che Virgilio risponda a questo. A che si può rispondere co la ragione; et all’altro perchè è cosa di fede finge che Virgilio preghi Stazio, che significa lo intelletto, che lo solva: imperò che lo intelletto apprende le cose de la fede, le quali non apprende la ragione; e però finge che Virgilio dica a lui: Se t’aumentassi; tu, Dante; e ben dice t’ammentassi, perchè è fizione poetica la quale dei sapere, come Meleagro; filliuolo del re Oeneo di Calidone d’Etolia, Si consumò al consumar d’un stizzo; cioè d’uno tissone articaato1, forse artificiato. Finge Ovidio, Metamorfosi libro viii, che quando la reina Altea, donna d’Oeneo di Calidone che era in Etolia, parturitte Meleagro, le Fata che dispensano la vita vi venneno; cioè Cloto, Lachesis et Antropos; e la prima disse che vivesse con grazia d’ogni uno, sicchè fusse2 ingannato; e la seconda che vivesse con potenzia, sicchè avansasse ogni omo; e la tersa, confirmando, ordinò lo termino de la vita e misse uno tissone nel fuoco, dicendo che tanto fusse la vita del fanciullo3, quanto penava

  1. C. M. arsicciato. Finge — Forse artificiato — pare un glossema del copista. E.
  2. C. M. fusse ingraziato;
  3. C. M. di quel fanciullo,