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594 | p u r g a t o r i o x x v. | [v. 15-30] |
cosa; cioè perchè s’appressimava la sera, come fa l’om; cioè come fa l’omo sollicito, che non s’ affigge; cioè lo quale non si ferma, Ma vassi a la via sua; cioè al suo cammino, che che li appaia; cioè benchè qualunqua cosa li apparisca, non si resta, Se di bisogno stimulo il trafigge: cioè s’elli è punto da lo stimulo del bisogno de l’andare. Così entrammo noi; ecco che adatta la similitudine; cioè sollicitamente, per la callaia; cioè per la stretta via da montare suso, Uno inanti altro; cioè l’uno di rieto all’altro in filo, prendendo la scala; cioè da montare suso, Che; cioè la quale scala, per artezza; cioè per strettessa, i sallitor dispaia; cioè fa andare in filo e non di pari li sallitori. Altro è a dire ertezza: imperò che ertezza è a dire rittezza; ma artezza è a dire strettezza, e però lo testo dè dire artezza. E qual è il cicognin; ecco che induce una similitudine de la sua volontà e de la timidezza a quella del cicognino, dicendo che come fa lo cicognino, che; cioè lo quale, leva l’ala; cioè per volare; però dice: Per vollia di volar; ch’elli à, e non s’attenta; cioè e non s’assicura, D’ abbandonar lo nido; cioè di gittarsi a volo, e giù la cala; cioè l’ala1, Tale era io; cioè io Dante era fatto come lo cicognino, con vollia accesa e spenta; cioè prima volea dimandare, poi timidezza mi rattenea, Di dimandar; lo mio Dottore, venendo infine all’atto; cioè infine a l’apertura de la bocca, Che fa colui che a dicer s’argomenta; cioè s’apparecchia.
C. XXV — v. 16-30. In questi cinque ternari lo nostro autore finge che Virgilio s’accorgesse de la vollia ch’elli avea di dimandare, e però lo confortò ch’elli addimandasse; e finge che, fatta la dimanda, Virgilio li risponde quanto può a questo dubbio rispondere la ragione; appresso, perchè è opera di fede, finge che Virgilio preghi Stazio, che significa lo intelletto, che questo dubbio dichiari a Dante; cioè a la sensualità, dicendo così: Non lassò; cioè Virgilio, per l’andar; cioè nostro, che fusse ratto; cioè perchè fusse lo nostro andare sollicito, Lo dolce Padre mio; cioè Virgilio, che significa la ragione che dè essere padre; cioè monitore e governatore de la sensualità, come è lo padre del filliuolo, ma disse; a me Dante: Scocca L’ arco del dir; cioè la vollia del dire: imperò che come l’arco manda la saetta; così lo desiderio del dire manda fuora la parola, che infin al ferro; cioè al ferro de la saetta, ài tratto; cioè tirato ài tanto l’arco, che non si può tirare più: imperò che ’l ferro de la saetta è all’arco che2 quive, dov’è non si può tirare più; quasi dicesse: La volontà tua del dir è tirata in fine a la parola che è lo ferro de la saetta, e l’asta è lo concetto e la sentenzia, la quale va e co le parole ferisce; e però si dice il proverbio: La parola intra spesse volte dove non entra