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124E viddi spirti per la fiamma andando,
Per ch’io guardava loro et ai mie’ passi,
Compartendo la vista a quando a quando.
127Appresso ’l fine ch’a quest’inno fassi,
Gridavano alto: Virum non cognosco,
Indi ricominciavan l’inno bassi.
130Finito questo, gridavano: Al bosco1
Si tenne Diana, et Elice caccionne,
Che di Venere avea sentito ’l tosco.
133Indi a cantar tornavano ancor donne,2
Lodavano i mariti che fuor casti,3
Come virtute e matrimonio imponne.
136E questo modo credo che lor basti
Per tutto ’l tempo che il fuoco li abrucia:
Con tal cura convien con cotai pasti
139Che la piaga da sezzo si ricucia.
- ↑ v. 130. C. A. Finitelo anche gridavano:
- ↑ v. 133. C. A. Indi al cantar tornavano, indi donne,
- ↑ v. 134. C. A. Gridavano, e mariti che fur casti,
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C O M M E N T O
Ora era che ’l sallir non volea storpio, ec. Questo è lo xxv canto de la seconda cantica, nel quale finge lo nostro autore come sallitte del vi giro1 nel vii, dove si purga lo peccato de la lussuria nel fuoco. E dividesi questo canto principalmente in due2 lezioni: imperò che ne la prima finge l’autore come, salliendo del vi giro3 al vii, confortato da Virgilio, mosse uno dubbio del quale Virgilio, posta alcuna dichiaragione, in prima fece dare la soluzione a Stazio, e compie la dichiaragione tutta ne la prima lezione. Ne la seconda finge l’autore come Stazio compiè la sua dichiaragione; e come, iunti nel vii girone, preseno la via inverso mano ritta al modo usato al lato a la ripa: imperò che in ver la grotta era lo fuoco; e come