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586 | p u r g a t o r i o x x i v. | [v. 142-154] |
C. XXIV — v. 142-154. In questi quattro ternari et uno versetto lo nostro autore finge come era fatto l’angiulo che apparve; e come li levò la colpa de la gola, defigurata ne la fronte; e come uditte commendare la sobrietà, dicendo: L’aspetto suo; cioè dell’angiulo ditto di sopra, m’avea la vista tolta; cioè avea col suo splendore abballiatomi sì, ch’io non potea veder lume, come farebbe lo Sole a chi ragguardasse in esso, Per ch’io; cioè per la qual cosa io Dante, mi volsi; cioè volsi me, dietro ai miei dottori; cioè mi volsi a seguitare et andare dirieto ai miei dottori, Com’om; cioè come omo, che va segondo ch’elli ascolta; cioè va al suono de le pedate, non perch’elli vegga, come fanno li ciechi. E quale annunziatrice delli albori; ecco che adduce una similitudine che, come di Maggio la mattina in su l’aurora si leva uno venticello delicato, che è segno de l’albòre che apparisce, L’aura di Maggio; cioè lo venticello di Maggio, muovesi; cioè venteggia delicatamente, et olezza; cioè rende ulimento, Tutta impregnata dall’erbe e da’ fiori; cioè piena dell’ulimento dell’erbe e dei fiori, Tal mi senti’ un vento; cioè così fatto vento, cioè ulimoso come quello che ditto è, Dar per mezza La fronte; dove erano li P segnatimi ne la fronte, e ben senti’ muover la piuma; cioè le penne de l’angiulo, Che; cioè la quale piuma, fe sentir d’ambrosia l’orezza; cioè fece sentire lo venticello de lo odore de l’ambrosia, che fingeno li Poeti che sia erba che mangiano li cavalli del Sole et anco li Dii, e diceno che rende ulimento di divinità, e così ulimitte quil vento mosso de l’ala de l’angiulo, E senti’ dir: Beati; cioè dell’anime del purgatorio che congaudevano de l’assoluzione di Dante, e diceano quella parte de l’Evangelio che dice: Beati qui esuriunt et sitiunt iustitiam, quoniam ipsi saturabuntur — , cui; cioè coloro li quali, alluma Tanto di grazia; cioè illumina tanto de la Grazia Divina, che l’amor del gusto; cioè l’appetito de la gola, Nel petto lor; cioè nel cuore loro, troppo disir; cioè troppo desiderio, o vero diletto, non fuma; cioè non pillia, Esuriendo; cioè avendo fame e desiderando di mangiare, sempre quanto è giusto; e non più. E qui finisce lo canto xxiv, et incomincia lo xxv.
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