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[v. 106-117] | c o m m e n t o | 49 |
ma tutti convegnano esser volti inanti a Roma; cioè a l’ubedienzia de la santa chiesa. E questa grazia concede Idio, quando vuole et a cui elli vuole; ma l’anno del giubileo la concede a chiunqua 1 la vuole: imperò che ogniuno è assoluto da colpa e da peccato 2 che va ben confesso e contrito a Roma. Ma potrebbesi dubitare; vuole l’autore che chi muore assoluto da colpa e da pena dal papa c’entri 3 al purgatorio? A che rispondo che no; ma finge di quelli che sono morti in altro tempo, che non ànno potuto passare infine a quive, secondo lo volere di Dio, che allora tutti ànno grazia d’andare a purgarsi, sicchè l’autore finge che quelli che muoiano ne l’ubidienzia de la santa chiesa vadano a purgarsi, chi subitamente come è morto, e chi più tardi e chi meno, secondo che piace a Dio, fingendo che in quello tempo stia in questo mondo, sostenendo pena di tempo e d’aspettare quive dove àe commesso lo peccato. E non pone l’autore la cagione, che de la predestinazione o de la presenzia 4 di Dio non fu mai nessuno che ne sapesse, o potesse rendere ragione.
C. II — v. 106-117. In questi quattro ternari finge l’autore ch’elli inducesse a cantare Casella alcuna sua canzone morale, composta et intonata già per lui, dicendo: Et io; cioè Dante, dissi a Casella: Se nuova legge; da quella che tu avei quando eri nel mondo, non ti tollie Memoria o uso: due cose tocca l’autore, che fanno l’omo abile a l’esercizio; cioè la memoria e l’uso; e però dice: Se nuova legge non ti tollie la memoria o l’uso a l’amoroso canto; cioè al canto che trattava d’amore, o vero che era sì piacente, che ogni uno facea di sè inamorare, Che mi solea chetar; cioè fare contente, tutte mie vollie; cioè volontadi, Di ciò; cioè di quel canto, ti piaccia consolar alquanto L’anima mia; che ne solea prendere consolazione, e così ne prenderà ancora, che co la sua persona Venendo qui, è affannata tanto: maggior affanno à la mente quando è nel corpo a comprendere le cose de l’altra vita, che quando è separata dal corpo. Amor, che ne la mente mi ragiona; questa fu una delle canzoni morali di Dante la quale questo Casella intonò e cantò, quando era nel mondo; unde finge l’autore che ora liela facesse cantare, e però dice: Cominciò elli; cioè Casella, allor sì dolcemente; quanto a la melodia del canto et a la sentenzia de le parole, Che la dolcezza ancor dentro mi sona; cioè e sì del canto e sì de le parole dentro ne la mente mi risuona ancora. Lo mio Maestro; cioè Virgilio, et io; cioè Dante, e quella gente; ch’era venuta in su la navicella con Casella, e però
dice: Ch’eran con lui; cioè con Casella, parean sì contenti; cioè di
- ↑ Chiunqua, adunqua e simili dissero i nostri antichi e così pronunzia tuttora una parte del popolo toscano. E.
- ↑ C. M. e da pena, che va
- ↑ C. M. dal papa vada anco al purgatorio?
- ↑ C. M. o della prescienzia di Dio
Purg. T. II. | 4 |