[v. 76-93] |
c o m m e n t o |
579 |
suo fratello, lo quale a furore di populo fu stracinato a coda di una bestia; ma questa fizione arreca ad allegoria, dicendo che questa bestia quanto più va, più cresce lo suo andare infine a tanto che lo lassa morto vilmente. E per questa bestia possiamo intendere lo dimonio, lo quale lo conducerà di passo in passo più ratto in sua dannazione e disfazione corporale, in quanto morrà vitoperosamente; e spirituale in quanto lo conducerà ne lo inferno di po’ l’uno peccato, più ratto che di po’ l’altro: imperò che quando s’incomincia a peccare, l’uno viene di po’ l’altro più strabucchevilmente. E finge l’autore che Forese liel abbia ditto, perchè, poi che l’autore finge che avesse questa fantasia, questo avvenne a messer Corso Donati inanti che scrivesse questa parte; e però continua: La bestia; cioè lo dimonio che’l guida, ad ogni passo; cioè ad ogni trapassamento di iustizia che li fa fare, va più ratto; cioè che più tosto poi lo fa trabuccare nelli altri peccati, Crescendo sempre: così è veramente; che chi incomincia a mal fare, di vizio in vizio corre più la seconda volta, che la prima: imperò che quanto l’omo più pecca, più si dilunga da Dio e da la sua grazia; e quanto più si dilunga, più indebilisce e più è labile ne’ vizi e ne’ peccati, fin ch’ella ’l percuote; cioè a lo scollio de la morte, facendolo morire ostinato, E lassa ’l corpo; cioè di messer Corso la ditta bestia; cioè lo dimonio, vilmente disfatto. Quanto a la lettera vilmente rimase disfatto, se rimase dilacerato per lo stracinamento, o appiccato come si solliano appiccare; et allegoricamente l’anima lassò lo corpo vilmente disfatto, in quanto vilmente si partì da lui et andonne a lo inferno col suo dimonio che l’avea guidata. Et ora li predice lo tempo, dicendo: Non ànno molto a volger quelle rote; cioè dei cieli; e però dice: (E drizzò; cioè Forese, li occhi al Ciel; dimostrando colli occhi inalsati in su li cieli, li quali continuamente si girano) li quali sono nove, come di sopra è stato ditto; cioè vii cerchi di sette pianeti e l’ottavo de le stelle fisse dov’è lo zodiaco, e lo nono che è lo primo mobile. E queste revoluzioui sono quelle che dimostrano lo tempo: imperò che tempo non è altro che lo spazio, nel quale queste revoluzioni si fanno; e questo spazio produce Iddio dal suo essere eterno. che a te; cioè che a te Dante, fi’ chiaro Ciò che ’l mio dir più dichiarar non puote; dice Forese che tosto serà quello che elli non può dichiarare, sicchè Dante lo vederà chiaramente. E questo finge Dante che Forese non dica più, perchè di questi fatti per sè non era ancora più veduto quando scrisse questa parte. Ora s’accommiata Forese da Dante, dicendo: Tu; cioè Dante, ti rimane omai; cioè ingiummai, ch’io non posso stare più teco; et assegna la cagione: Che ’l tempo è caro In questo regno: nessuna cosa è più cara che ’l tempo a quelli che sono in purgatorio, o instato di penitenzia: imperò che