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[v. 97-114] | c o m m e n t o | 561 |
anco, m’à liberato delli altri giri; del purgatorio che sono di sotto da questo. Tant’è a Dio più cara e più diletta; ecco che loda la virtù de la sua donna, La vedovella mia; cioè la ditta Nella, che di po’ la morte sua fu vedova, che; cioè la quale, molto amai; cioè io Forese, Quant’in bene operar è più soletta: imperò che più si mostra la sua virtù quando non à compagnia: in bene operare mostra che vegna pur da sè, e non da la compagnia, e però Iddio più l’accetta; e questo dice in vituperio de le donne fiorentine, mostrando che poghe ve ne siano atte a bene operare: Chè la Barbaggia di Sardigna: Sardigna è una isula tra la Sicilia e la Corsica inver l’Africa, sicchè viene quasi come in terso, et è stesa a modo d’una pianta di piede umano, secondo che dice Anticlaudiano De laudibus Stiliconis; et àe monti inaccessibili se non d’alcuno lato con grande fatica; ne’ quali monti à molto popolo, molto feri et inculti, viventi a modo di barbari, e però credo che sia chiamata Barbaggia; e perchè vanno quasi nudi li omini e le femine, e però dice che a rispetto de le donne fiorentine ella è più pudica et onesta; unde dice: assai Ne le femine suoe; cioè de la ditta Barbaggia di Sardigna, è più pudica; essa Barbagia di Sardigna è1 più onesta, Che la Barbaggia; cioè di Fiorensa, la quale chiama Barbaggia per la disonestà del portamento del vestire de le donne, dove; cioè ne la quale, io la lassai; cioè io Forese lassai la donna mia Nella, vedova onesta quive, dove l’altre donne sono disonestissime del vestimento, non avale; ma al tempo de l’autore quando le donne fiorentine andavano tanto sgolate e scollate li panni, che mostravano di rieto lo canale de le rene, e d’inanti lo petto e lo fesso del ditello; ma laudato sia Iddio che ora portano li collaretti, sicchè sono uscite di quella abominazione.
C. XXIII — v. 97-114. In questi sei ternari lo nostro autore finge come Forese, continuando la sua riprensione de la disonesta portatura de le donne fiorentine, dice a Dante: O dolce frate; ecco che ben finge la carità che è nell’anime passate, che sono in via di salute, che vuoi tu ch’io dica? Ecco che Forese dimanda Dante se elli vuole ch’elli dica di questo fatto quil che ne vede; e questo finge perchè, avendo ditto le parole di sopra Forese, Dante fece uno atto, perchè Forese s’accorse che Dante volea più udire; e però dice: O dolce frate, che vuoi tu ch’io dica? E presa la licenzia, sensa avere risposta altramente, dice: Tempo futuro; cioè che dè venire, m’è già nel cospetto; cioè è a me presente, che veggo quello che allora dè essere, Cui; cioè al quale tempo, non serà quest’ora molto antica; cioè questa ora, ne la quale siamo, non serà molto di lunge; ecco che finge l’autore che Forese veggia quil che dè venire: imperò
- ↑ C. M. più pudica essa Barbagia di Sardigna, e più onesta,