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vene; ne la sua passione che fu sì amara. Finge l’autore che queste anime vadano in circuitu1 e trovino questi arbori: imperò che le sante anime, che sono in stato di penitenzia, sempre col pensieri si girano e rivolgensi a la beatitudine che aspettano; e ben che tale aspettare tormenti l’anima, pur torna volentieri a quil desiderio, per ch’ella è tratta da l’odore; cioè da la dolcezza del Sommo Bene. E qui finisce la prima lezione del canto xxiii, et incomincia la secunda.

Et io a lui: In questa secunda lezione lo nostro autore finge come anco elli ebbe parlamento con Forese preditto, e ch’elli predisse de l’iudicio divino che dovea venire sopra Fiorenza, per disonestà dei portamenti de le donne; et al fine ripregato da Forese li manifesta sè e le suoe scorte. E dividesi questa lezione in quattro parti: imperò che prima finge com’elli lo dimanda come sì tosto sia intrato in purgatorio, pensando che tanto fusse perseverato nel peccato; ne la seconda finge che Forese li risponda e renda la cagione esser stata li di voti preghi de la sua donna, et incomincia quive: Und’elli a me; ne la terza finge com’elli fa disgressione, e prediceli de l’iudicio che dè venire a Fiorensa, per la disonesta portatura de le donne e ripregalo ch’elli si palesi, et incominciasi quive: O dolce frate, ec.; ne la quarta et ultima finge come Dante si li manifesta e li suoi conducitori, et incominciasi quive: Per ch’io a lui: ec. Divisa adunqua lezione, ora è da vedere lo testo co l’esposizione litterale, allegorica e morale.

C. XXIII— v. 76-84. In questi tre ternari lo nostro autore finge ch’elli movesse uno dubbio al preditto Forese; che: con ciò sia cosa ch’elli siano non anco2 cinque anni ch’elli morì et in prima non s’era convertito a Dio, come sia venuto sì tosto in purgatorio: imperò che, secondo la fizione di sopra, dovrebbe essere ne la costa fuor del purgatorio a ristorare tempo per tempo. E però dice: Et io; cioè Dante, a lui; cioè a Forese dissi, s’intende: Forese, da quel di’, Nel qual mutasti mondo a millior vita; cioè dal di’ che tu moristi, che allora mutasti mondo: imperò che dal mondo temporale se’ venuto al perpetuo, e da quello dove si pecca a quello dove non si può peccare; e però dice a millior vita: imperò che ne la vita mondana si può demeritare, e ne la vita in che tu se’ ora s’emenda lo demeritato, Cinque anni non son volti; cioè non sono passati, infine a qui; cioè infine a questo di’. Se prima fu la possa; cioè la potenzia e la possibilità, in te; cioè Forese, finita; cioè compiuta, Di peccar più; cioè se prima per le infirmità tu non potesti più peccare nel peccato de la gola: imperò che quando le febbre sono nel corpo nè ’l bere, nè ’l mangiare più diletta, anco viene in abominazione, e

  1. C. M. in circuito
  2. C. M. siano cinque anni