[v. 37-48] |
c o m m e n t o |
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e così1 leggono omo sensa h: imperò che la h non è littera; ma è signo d’aspirazione: homo dice lo Grammatico, quasi fatto de humo; cioè di vilissima terra: imperò che Iddio fece lo primo omo Adam in Damasco di loto2; e spirando ne la faccia sua spiraculo di vita, lo vivificò e diedeli anima ragionevile et intellettiva e misselo nel Paradiso delitiarum — , Bene avria quive; cioè ne le faccie di coloro, cognosciuto l’emme; cioè la lettera m, fatta al modo di sopra. Chi crederebbe che l’odor d’un pomo; cioè del pomo del ditto arbore, Sì governando; cioè dimagrando, generasse brama; cioè fame, E quel; cioè odore, d’un’acqua; cioè di quella che esce de la grotta e cade in su le follie e va in su, de la quale fu detto di sopra, non sapendo como3; cioè non sapendo la cagione, unde proceda lo modo? E dèsi notare che di sotto nel canto xxv muoverà l’autore lo dubbio del modo, e però quive si dichiarerà. In questa parte occorre uno dubbio; cioè che l’autore pare sapere qui la cagione che fa dimagrare, et affamare, et assetare; et in questo medesimo canto più giuso mostra di dubitarne, e dimandane Forese. A che si dè rispondere che qui parla l’autore come tornato di là, scrivendo quello che di là vidde, e comprese, et uditte; e parla come certificato di quello che, allora ch’era di là, dubitava; di sotto parlerà narrando quello che di là fece, vidde et uditte. E però qui finge di saperlo, e di sotto finge com’elli dimandò, e com’elli fu certificato, narrando lo fatto come fu.
C. XXIII — v. 37-48. In questi quattro ternari lo nostro autore finge come venne in cognoscimento d’alcuna di quelle anime, la quale nomina nel testo, dicendo così: Già era; cioè Dante: ecco ora parla l’autore come recitatore de le cose ch’essa vidde, uditte e comprese di là, in ammirar; cioè in meravilliarmi, che sì li affama; cioè quelli spiriti, e che li fa sì magri, Per la cagion ancor non manifesta; cioè per la cagione che non m’era, allora ch’io era di là, ancora manifesta, Di lor magrezza e di lor trista squama; cioè de la loro magressa, e de la loro aspressa. Et ecco del profondo de la testa; per questo nota che li occhi fusseno ben fitti in entro, Volse a me li occhi; cioè suoi a me Dante, un’ombra; cioè di quelle che ci aveono giunto, e guardò fiso; cioè a me Dante, Poi gridò forte; la ditta ombra, poi che m’ebbe ricognosciuto all’abito ch’io era fiorentino: Qual grazia m’è questa; cioè come accetta, cioè ch’io abbia qui trovato vivo uno fiorentino, lo quale non avea anco cognosciuto se non per patria a l’abito et al portamento? Mai noll’arei ricognosciuto al viso; cioè io Dante quello spirito: sì era travalliato, Ma
- ↑ C. M. leggeno senza h:
- ↑ C. M. di loto; cioè di fango; e spirando
- ↑ Como; dal quomodo latino. E.