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p u r g a t o r i o ii. |
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che avesse parlamentato con alcuna di quelle anime, la quale lo
ricognove, et elli lei, dicendo: Io viddi; cioè io Dante, una; di
quelle ombre, e però dice: di lor traersi avante, Per abbracciarmi;
cioè me Dante, perchè mi ricognove, con sì grande affetto; cioè desiderio et amore, Che mosse me; cioè Dante, a far lo similliante; cioè
ad abbracciare lei. Ma perchè non trovò lo corpo palpabile, però fa
la seguente esclamazione, cioè: O ombre vane; dice delle anime che
sono separate dal corpo che sono vane: però che appaiano palpabili
e non sono, fuor che ne l’aspetto; cioè se non al vedere: imperò che
al vedere paiano corporali, e non sono! Tre volte a lei; cioè a quell’ombra, dietro le mani avvinsi; cioè avvinghiai, E tante; volte, mi trovai con esse al petto; non stringendo nulla, perchè l’ombra non
era palpabile, benchè fusse visibile lo corpo aereo di che si veste
l’anima quando si parte dal corpo, secondo che fìnge l’autore in questa cantica nel canto xxv, et in questo così fatto corpo l’anima è passibile, come nel corpo carneo. E questo è secondo la volontà di Dio
che fa che ’l fuoco sopranaturale che è nell’inferno e nel purgatorio
sopra naturalmente opera ne li spiriti che sono incorporei e ne l’anime, e così l’altre pene che sono ne lo inferno e nel purgatorio; ma
nel purgatorio non le pone per alcun modo palpabile: però che per
sè medesimo volontarosamente sostegnano la pena; ma notevilmente
disse l’autore che tre volte l’abbracciò; cioè per seguitare Virgilio,
che disse nel sesto dell’Eneide: Ter conatus ibi collo dare brachia circum: Ter frustra comprensa manus effugit imago, Par levibus ec.,
e non sensa cagione disse Virgilio tre volte, e così lo nostro 1 autore;
cioè per mostrare quando noi operiamo alcuna cosa, noi siamo prima mossi dalla concupiscenzia; e non venendo fatto quello che volliamo, l’irascibilità ci muove e facci rifare un’altra volta; e non
venendo fatto, dice la ragione: Prova anco; e così si fa tre volte; e
dipo’ la terza volta la ragione conchiude: Vedi che è impossibile,
non fare più. In questa parte puossi muovere uno dubio 2; cioè che
lo nostro autore contradica a sè medesimo: imperò che ne la prima
cantica nel canto xxxii, dove l’autore dice: Allor lo presi per la coticagna, E dissi: El converrà, che tu ti nomi, O che qui su capel non ti rimagna; ecco che finge l’autore che l’ombre siano palpabili, e
qui finge lo contrario, come appare nel testo, sicchè l’autore contradice a sè medesimo. A che si dè rispondere che l’autore non contradice intanto: però che a sostenere tormento e pena, finge che quel
corpo aereo sia palpabile; ma non in altro modo, e l’afferrare per la
cuticagna era tormento; questo abbracciare era a diletto, e però
fìnge che quanto a questo fusse l’ombra impalpabile. Di meravillia;
- ↑ C. M. così disse lo nostro autore;
- ↑ C. M. dubbio;