19Così di rieto a noi, più tosto mota,
Venendo e trapassando, ci mirava1
D’anime turba tacita e devota.
22Nelli occhi era ciascuna scura e cava,
Pallida ne la faccia, e tanto scema,
Che dall’ossa la pelle s’informava.2
25Non credo che così a buccia strema
Erisiton si fusse fatto secco,3
Per digiunar, quando più n’ebbe tema.
28Io dicea fra me stesso, pensando: Ecco
La gente che perdeo Gerusalemme,4
Quando Maria nel Fillio diè di becco.
31Parean le occhiaie anella senza gemme:
Chi nel viso delli omini legge omo,5
Bene avria quive cognosciuto l’emme.
34Chi crederebbe che l’odor d’un pomo,
Sì governando, generasse brama;6
E quel d’un’acqua, non sapendo como?7
37Già era in ammirar che sì li affama,
Per la cagion ancor non manifesta
Di lor magrezza e di lor trista squama;
40Et ecco del profondo de la testa
Volse a me li occhi un’ombra, e guardò fiso,
Poi gridò forte: Qual grazia m’è questa?
43Mai noll’arei ricognosciuto al viso;
Ma ne la voce sua mi fu palese
Ciò che l’aspetto in sè avea conquiso.
- ↑ v. 20. C. A. ammirava
- ↑ v. 24. C. A. dell’
- ↑ v. 26. C. A. fosse sì
- ↑ v. 29. C. A. perde
- ↑ v. 32. C. A. legge ,
- ↑ v. 35. C. A. Sì gorvenasse, generando
- ↑ v. 36. Como; come dal quomodo latino. E.