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c a n t o   x x i i i. 547

19Così di rieto a noi, più tosto mota,
     Venendo e trapassando, ci mirava1
     D’anime turba tacita e devota.
22Nelli occhi era ciascuna scura e cava,
     Pallida ne la faccia, e tanto scema,
     Che dall’ossa la pelle s’informava.2
25Non credo che così a buccia strema
     Erisiton si fusse fatto secco,3
     Per digiunar, quando più n’ebbe tema.
28Io dicea fra me stesso, pensando: Ecco
     La gente che perdeo Gerusalemme,4
     Quando Maria nel Fillio diè di becco.
31Parean le occhiaie anella senza gemme:
     Chi nel viso delli omini legge omo,5
     Bene avria quive cognosciuto l’emme.
34Chi crederebbe che l’odor d’un pomo,
     Sì governando, generasse brama;6
     E quel d’un’acqua, non sapendo como?7
37Già era in ammirar che sì li affama,
     Per la cagion ancor non manifesta
     Di lor magrezza e di lor trista squama;
40Et ecco del profondo de la testa
     Volse a me li occhi un’ombra, e guardò fiso,
     Poi gridò forte: Qual grazia m’è questa?
43Mai noll’arei ricognosciuto al viso;
     Ma ne la voce sua mi fu palese
     Ciò che l’aspetto in sè avea conquiso.

  1. v. 20. C. A. ammirava
  2. v. 24. C. A. dell’
  3. v. 26. C. A. fosse sì
  4. v. 29. C. A. perde
  5. v. 32. C. A. legge ,
  6. v. 35. C. A. Sì gorvenasse, generando
  7. v. 36. Como; come dal quomodo latino. E.