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àe felice principio et infelice fine, contrario a la comedia, e propriamente è de le cose vere, narrate fittamente verisimilmente e dicesi da tragos ch’è lo becco, et oda ch’è canto, quasi canto di becco perchè li Tragedi tra li altri doni che aveano dal populo per la recitazione de la tragedia aveano uno becco, o perchè la tragedia à l’aspetto del becco, che de la parte d’inansi pare principe e di rieto è sosso, e così la tragedia, et altri assai; cioè poeti tragici li quali non vuole nominare qui, che li à nominati ne la prima cantica cioè poeti latini, cioè Lucano, Ovidio, Ennio, Rispuose el Duca mio; cioè Virgilio, siam con quel Greco; cioè con Omero smirneo, del quale fu ditto ne la prima cantica, Che le Muse lattar più; cioè infuseno più in lui de la sua dottrina le scienzie poetice, che altro mai; cioè che non fenno mai in nessuno altro, Nel primo cerchio; cioè nel limbo, del carcere cieco; cioè de lo inferno, dov’è sempre cechità et ignoranzia. Spesse fiate; cioè spesse volte, ragioniam del monte; cioè noi poeti ragioniamo del monte Parnaso, Ch’à; cioè lo quale àe, le nutrice nostre; cioè le Muse, sempre seco: imperò che quive sempre è la dottrina de la poesi: imperò che nel mondo sempre la poesi abita in alto; ma li poeti pagani, quanto apo Iddio, stanno nel carcere cieco: imperò che non ànno avuto notizia di lui, ch’è luce e chiarità. Euripide; questo fu poèta greco, v’è nosco1; anco fu poeta greco, et Antifonte; anco fu poeta greco, Simonide; anco fu poeta greco, Agatone; anco fu poeta greco, et altri piue Greci; li quali non nomina, che già di lauro ornar la fronte; cioè li quali nel tempo passato si coronarono d’allorio, come fu ditto di sopra: sono anco con quil Greco che detto è, si dè intendere: imperò che non c’è altro verbo dove si rendano questi nominativi. Quivi; cioè nel cieco carcere, e non si dè intendere del primo cerchio: imperò che contradirebbe a quello che àe finto ne la prima cantica, e massimamente quando dice di Manto filliuola di Tiresia, che l’à posta ne la bolgia de l’indivini, si veggion de le genti tue; cioè de le quali tu, Stazio, ài fatto menzione ne la tua Tebaide, Antigone; che fu filliuola del re Edippo e di Iocasta, Deifile et Argia; che funno filliuole del re Adrasto d’Argo, e Deifile fu mollie di Tideo, et Argia di Polinice, Et Ismene sì trista come fue; questa fu anco filliuola del re Edippo e di Iocasta; e secondo che finge Stazio, che poi che Eteocle e Polinice filliuoli del re Edippo ebbeno combattuto insieme, et ebbenosi ucciso per lo regno di Tebe con avvicendevili ferite, Ismene uscitte di Tebe di notte per ritrovare li corpi d’amburo, e piangendo e dolorandosi de la morte dei fratelli andava per lo campo, e così si trovò

  1. Nosco pare qui interpretato per un nome proprio, e forse potrebb’essere Mosco. Secondo la comune lezione, i giovani intenderanno nosco; con noi. E.