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532 | p u r g a t o r i o x x i i. | [v. 64-93] |
Polinice re di Tebe, Tideo re di Calidone, Ippocoon re di Trinto, Capaneo re d’Acone, Amfiarao re di Micla, e Partonopeo re d’Arcadia, ai fiumi de la città Tebe; cioè Ausopo et Ismeno, poetando; cioè fingendo lo mio poema, ebbi io; cioè Stazio, battesmo; ecco che manifesta come si batteggiò, Ma per paura; cioè di Domiziano, chiuso; cioè occulto, cristian fu’mi; cioè non m’appalesai cristiano, Lungamente; cioè lungo tempo, mostrando paganesmo; cioè nelli atti di fuori. E questa tepidezza; cioè questa negligenzia, il quarto cerchio; cioè del purgatorio, nel quale si purga l’accidia, Cercar mi fe; cioè me Stazio, o vero, Cerchiar; cioè girare intorno, più che ’l quarto centesmo1; cioè più che 400 anni era stato nel quarto cerchio, e più che cinque cento anni era stato nel v cerchio, e qualche tempo era stato nel primo, secondo e terzio; sicchè più di mille anni erano passati che Stazio era morto: imperò che l’autore finge che avesse questa fantasia nel 1300, sì come mostrato è di sopra, e Domiziano l’imperio tenne ultimo de’ 12 principi che pone Svetonio, che fu di lunge da Ottaviano, sotto ’l qual nacque Cristo, più di 120 anni; e così appare che Stazio era morto ben per più di mille cento anni inanti. E qui finisce la prima lezione del xxii canto, et incominciasi la secunda2.
Tu dunque, che levato ec. Questa è la seconda lezione del xxii canto, ne la quale lo nostro autore finge come, montando suso al sesto cerchio, Stazio dimanda Virgilio dei poeti; e Virgilio li risponde nominandoli e dicendo dove sono; e come montati nel sesto cerchio, trovano la pena che sostegnano li gulosi per purgarsi del peccato de la gola, e le lode de l’astinenzia e continenzia che faceano quelli spiriti che si purgavano. E dividesi la lezione in 4 parti, perchè prima finge come Stazio dimanda Virgilio d’alquanti poeti in qual luogo siano, e Virgilio risponde di loro e di molti altri; ne la seconda finge come, montati nel vi cerchio, pilliando lo cammino in verso mano ritta, secondo l’ordine servato, e come li poeti andavano inanti et elli seguitava, et incomincia quive: Tacevansi ambedu’ ec.; ne la tersa finge lo tormento, che sostegnano li spiriti che si purgavano del peccato de la gola, descrivendo uno arbore con uno rivo, et incomincia quive: Ma tosto ruppe ec.; ne la quarta parte finge come alcuno angiulo, stante tralle fronde del ditto arbore, dicea le lode de l’astinenzia, et incomincia quive: Poi disse: Più pensava ec. Divisa ora la lezione, è da vedere l’esposizione litterale, allegorica, o vero morale.
C. XXII — v. 94-114. In questi sette ternari lo nostro autore finge che Stazio parlamentasse con Virgilio, dimandandolo dei poeti;