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c o m m e n t o |
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l’uno litterale, e l’altro allegorico: imperò che introduce pastori a parlare insieme, et altro intende che le parole suonino; e però dice: il Cantor; cioè lo scrittore, dei bucolici carmi; cioè versi, che fu Virgilio, Per quel che Clio: Clio è una de le Muse le quali sono state demostrate di sopra, e questa Musa Clio invoca Stazio ne la sua Tebaide, che significa desiderio di dottrina, quando viene ad incominciare la narrazione dicente: Quem prius heroum Clio dabis? — , con teco; cioè Stazio, lì; cioè in quello libro, che si chiama Tebaide, tasta; cioè cerca: tastare è cercare; e chi è desideroso di dottrina, cerca la dottrina, Non par che ti facesse; cioè te Stazio, ancor fedele; cioè cristiano, La fede; cioè di Cristo, senza qual; cioè sensa la quale fede, ben far non basta; perchè l’omo operasse bene, non avendo la fede, non si salvarebbe qui1: però che omnis infidelium vita peccatum est, dice santo Agustino. Se così è; cioè che sensa la fede non si possa l’omo salvare, e che tu non fussi fedele quando scrivesti la Tebaide, qual Sole; cioè quale illuminatore, e quai candele; cioè quali parole, o vero sentenzie illuminative, Ti stenebraron sì; cioè sì levonno le tenebre de la ignoranzia da te, che tu drizzasti Poscia di rieto al Pescator; cioè a s. Piero apostolo che fu pescatore, le vele; cioè la volontà tua che, come la vela co l’aiuto del vento mena lo navilio; così la volontà diritta co l’aiuto de la Grazia Divina guida l’anima a salute eterna. Et è notabile che chi si vuole salvare conviene che dirissi la volontà sua di rieto a l’obedienzia de la s. Chiesa.
C. XXII — v. 64-93. In questi dieci ternari lo nostro autore finge come Stazio risponde a Virgilio, narrandoli la cagione e ’l modo de la sua conversione a la fede cristiana, dicendo: Et elli; cioè Stazio, a lui; cioè a Virgilio rispose, s’intende: Tu; cioè Virgilio, prima m’inviasti Verso Parnaso; cioè inviasti me Stazio in verso monte Parnaso: questo monte è in Grecia et àe due altesse pari; e però si chiama Parnaso, perchè à pari li nasi amburo; et in su l’uno, che si chiama Elicon, era una città chiamata Cirra, et istudiavasi quive ne le scienzie spezialmente, e però era quive lo tempio d’Apolline; et in sull’altro, che si chiama Citeron, era una città chiamata Nisa, e studiavansi in essa ne le scienze pratice2, e però era quive lo tempio di Baco; e nel colle, ch’era in mezzo, era una fonte consecrata a le Muse: imperò che quive si raunavano li studianti3 a disputare ne le suoe scienzie. E giù ne la valle era una città chiamata Focis u’ erano arti mecanice4, e quive discendeano li studianti a fornirsi ne le cose necessarie; e perchè quella fonte si
- ↑ C. M. si salverebbe: imperò che
- ↑ C. M. pratiche,
- ↑ Studianti; participio regolare dall’infinito studiare. E.
- ↑ C. M. mecaniche,