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526 | p u r g a t o r i o x x i i. | [v. 25-54] |
esclami e dica: Quid non mortalia pectora cogis, Auri sacra fames? La quale autorità chiunque espone, la vulgarissa in questa forma: O esecrabile e maladitta fame dell’oro, che non costringi tu li petti umani a pensare e trovare et a fare? Quasi dica: Ogni cosa induce li omini a pensare, trovare e fare. E per tanto si può dubitare come l’autore nostro abbia ora presa la ditta autorità in altro modo di parlare. A che si può rispondere che li autori usano l’altrui autoritadi arrecarle a loro sentenzia, quando commodamente vi si possano arrecare, non ostante che colui che l’à ditta l’abbia posta in altra sentenzia; e così fa ora lo nostro autore, dicendo: o sacra fame Dell’oro; cioè o santo desiderio dell’oro: allora è santo lo desiderio dell’oro, quando sta nel mezzo e non passa ne l’estremi, Per che non reggi; nel mezzo, l’appetito dei mortali; sicchè non s’allarghi a volerne troppo, ch’è avarizia; e non si ristringa a non volerlo punto e gittarlo, che è prodigalità? E cusì pillia Stazio, secondo che finge lo nostro autore, questo verbo cogis in questa significazione, cioè costringi o vero correggi; e questa dizione quid pillia a modo d’avverbio: cioè perchè. E forsi chi avesse dimandato Dante quando vivea, non arebbe sposto l’autorità di Virgilio altramente ch’ella si spogna1: ma venneli acconcio in questo luogo a recarla a questo intendimento, e però l’àe cusì sposta2; e chi la guarda sottilmente vedrà che in sentenzia non si disguallia l’una dall’altra: imperò che la prima esposizione parla all’appetito disordinato de l’avere, riprendendolo per che passa ne li estremi; e Dante parla a l’appetito moderato, esclamando che cosa sia che elli non regge e tene li cuori umani nel mezzo schifando li estremi, e tutto viene ad una intenzione e così si possano esponere li ditti di Virgilio, secondo l’una esposizione come secondo l’altra, pilliando sacra per santa, e cogis per reggi, e quid, perchè. Simile fece Boezio dell’autorità di Lucano: imperò che, dicendo Lucano nel primo libro: Quis iustius induit arma Scire nefas: magno se iudice quisque tuetur: Victrix causa diis placuit; sed victa Catoni; ecco qui Lucano, volendo muovere dubbio chi avesse più ragione tra Cesare e Pompeio, per non biasimare nè l’uno, nè l’altro; ma parimente l’uno e l’altro commendare, dice che non è lecito di saperlo, considerato che la vincitrice cagione; cioè quella di Cesari3, che vinse, piacque alli dii; e la vinta, cioè quella di Pompeio che fu vinto, piacque a Catone che seguitò Pompeio; e così pareggia Lucano lo iudicio di Catone a l’iudicio delli dii. E Boezio arreca questo ditto a millior sentenzia nel iv de la Filosofica Consolazione, dove elli parla de la Providenzia Divina dicendo: De hoc quem tu iustissimum et æqui servantissimum putas, omnia