103Nel primo cerchio del carcere cieco.
Spesse fiate ragioniam del monte,
Ch’à le nutrice nostre sempre seco.1
106Euripide v’è nosco et Antifonte,
Simonide, Agatone et altri piue
Greci, che già di lauro ornar la fronte.
109Quivi si veggion de le genti tue
Antigone, Deifile et Argia,
Et Ismene sì trista come fue.
112Vedesi quella che mostrò Langia;
Èvi la fillia di Tiresia, e Teli,
E co le suore sue Deidamia.
115Tacevansi ambedu’ già li poeti,
Di novo attenti a riguardar d’intorno,
Liberi dal salir e da’ pareti;
118E già le quattro ancille eran del giorno
Rimase a drieto, e la quinta era al temo,
Drizzando più in su l’ardente corno;
121Quando ’l mio Duca: Io credo ch’a lo stremo
Le destre spalle volger ci convegna2
Girando ’l monte, come far solemo.3
124Così l’usanza fu lì nostra insegna;
E prendemmo la via con men sospetto,
Per l’assentir di quell’anima degna.
127Elle givan dinanzi, et io soletto4
Dirieto, et ascoltava i lor sermoni,
Ch’a poetar donavanmi intelletto.5
- ↑ v. 105. C. A. Che sempre à le nutrici nostre seco.
- ↑ v. 122. C.A. ne convegna
- ↑ v. 123. Solemo; piegatura naturale dall’infinito solere. E.
- ↑ v. 127. C. A. Elli
- ↑ v. 129. C. A. mi davano