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[v. 121-136] | c o m m e n t o | 513 |
C. XXI — v. 121-129. In questi tre ternari lo nostro autore finge come, avuta la licenzia da Virgilio, elli prese a parlare a Stazio e di- chiarollo de la cagione del suo ridere, dicendo: Ond’io; cioè per la qual cosa io Dante, avuta la licenzia da Virgilio dissi, s’intende: Forsi che tu ti meravilli, Antiquo spirto; ben può chiamare antiquo spirto Stazio, che più di 500 anni era stato in purgatorio, come appare di sopra, del rider ch’io fei; cioè diansi, quando tu parlavi, Ma più d’ammirazion vo che ti pilli; ecco che l’autore parla corretto, dimostrando che le passioni pilliano noi, e non noi loro; e però dice: ti pilli; cioè pigli te. Questi; cioè colui con cui io sono, che guida in alto li occhi miei; cioè la ragione che guida la sensualità mia e che m’à come poeta mosso a questa poesi; e questo ditto è mellio ad intenderlo secondo la lettera al presente, È quel Virgilio; ecco che pur secondo la lettera si dè intendere, dal qual; cioè Virgilio, tu tolliesti; cioè tu, Stazio, Forsi a cantar delli omini e de’ dei; cioè a scriver la Tebaide e l’Acchilleide, ne le quali si fa menzione delli omini e delli iddii. Se cagion altra; cioè che quella, ch’io t’abbo ditto, a mio rider credesti; tu Stazio, Lassala per non vera; ecco che certifica Dante Stazio de la cagion del suo ridere, et esser credi; tu, Stazio, Quelle parole che di lui dicesti; ecco che conferma Dante la loda di Virgilio.
C. XXI — v. 130-136. In questi due ternari et uno verso lo nostro autore finge come Stazio, udito che quelli era Virgilio, lo volse abbracciare ai piedi per riverenzia, dicendo: Già s’inchinava; cioè Stazio, com’io Dante ebbi detto le parole ditte di sopra di Virgilio, ad abbracciar li piedi Al mio Dottor; cioè a Virgilio; e questo finge l’autore, per mostrare ch’el volesse riverire come maggiore, ma elli; cioè Virgilio, disse; cioè a Stazio: Frate; ecco che ’l chiama fratello, perchè tutti siamo1 usciti da uno padre, Non far; cioè non abbracciare, che tu se’ ombra; cioè imperò che tu se’ ombra, et ombra vedi: imperò che io anco sono ombra, e l’ombre sono impalpabili se non a sostener pena, come di sopra è stato dichiarato. Et ei; cioè Stazio, surgendo; cioè levandosi suso disse a Virgilio, s’intende: Or poi la quantitate Comprender de l’amor; cioè tu, Virgilio, che a te mi scalda; cioè lo quale amore, mi scalda; in verso di te, Quand’io; cioè Stazio, dismento nostra vanitate; cioè non mi appensava ora che tu eri ombra et io, Trattando; cioè volendo trattare e trafficare, l’ombre; dichiarato è stato per me di sopra, perchè si chiamino ombre, come cosa salda; cioè come cosa solida e palpabile, come è lo corpo. E qui finisce lo canto xxi, et incomincia lo canto xxii.
- ↑ C. M. siamo fatti da uno
Purg. T. II. | 33 |