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p u r g a t o r i o x x i. |
[v. 76-102] |
trui che per Stazio, dunqua appare compiuto: imperò che li Poeti, non compiendo l’opera, nolla correggeno; e compiuta la rivedono e correggeno, e però non so pensare che cagione movesse lo nostro autore a dire cusì; se non forsi che ebbe nel proemio quello altro intendimento, dove pare promettere di dire di tutte l’altre cose d’Achille, de le quali non disse Omero poeta greco; e per tanto àe ditto che, caddi co la seconda soma; cioè co la seconda opera, in via; cioè nel viaggio, che nolla potè riducere al suo fine. Al mio ardor; dice Stazio, continuando lo suo parlare, che al suo ardore; cioè al suo splendore, per lo quale elli è venuto in fama e gloria, fur seme le faville; continua la similitudine: come lo seme è lo principio, unde nasce l’erba; così le faville funno1 principio de lo splendore di Stazio: imperò che da la favilla, come da principio effittivo2, nasce lo fuoco che risplende, Che; cioè le quali faville, mi scaldar; cioè acceseno me Stazio, de la divina fiamma; cioè de lo splendore divino de la poesi la quale era consecrata ad Apolline, sì come maestro de la teoria3, et a Baco sì come maestro de la pratica; unde Lucano in primo: Nec si te pectore vates Accipio, Cirrhaea velim secreta meventem Sollicitare deum, Bacchumque avertere Nysa; o volliamo intendere che dica divina; cioè avansante ogni ingegno umano: imperò ch’elli intende, come si dichiara di sotto, de la poesi de le Eneide di Virgilio, e l’autore lo prese dell’ultima parte de la Teibaide4 di Stazio, dove dice: Nec tu divinam Æneida tenta, Sed longe sequere, et vestigio semper adora — . Unde; cioè da la quale fiamma de la poesi, son già allumati; cioè fatti famosi e gloriosi, più di mille; cioè omini: imperò che per la poesi sono fatti famosi molti omini che non serebbeno, e sì li Poeti e sì le persone nominate dai poeti. Dell’Eneide dico; cioè io Stazio: ecco che dichiara di qual fiamma intese di sopra; e dice che intese del libro5 di Virgilio che si chiama Eneide, perchè in esso trattò de l’avvenimento di Enea troiano in Italia, del quale disceseno li Romani. Unde vegnano li primi movimenti in noi, noi non sappiamo, e però li pone l’autore nostro come seme posto da Dio ne le nostre menti, sì ch’elli finge che Stazio dica: Io ebbi desiderio d’esser poeta; et unde venisse questo nol dichiara, se non che questo ardore fu suscitato da faville, ch’erano ne la mente sua come seme; e questo desiderio l’accese ad adamare la poesi dell’Eneide di Virgilio, la quale è divina per respetto dell’altre: imperò che eccede ogni ingegno umano; e da quella ànno preso più di mille; cioè infiniti omini, quale ad esser poeta, quale ad esser
- ↑ C. M. fanno splendore dello splendore
- ↑ C. M. effettivo,
- ↑ C. M. la teorica,
- ↑ C. M. Tebaide
- ↑ C. M. del libro de l’Eneide che si chiama Eneide,