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Stazio che era fatto poeta, e nel tempo che Tito ebbe la vittoria, era a Roma; unde Lucano lib. ix: O sacer et magnus vatum labor, omnia fato Eripis et populis donas mortalibus ævum; e poco di sotto dice: Quantum Smyrnæi durabunt vatis honores, Venturi me teque legent: Pharsalia nostra vivet, et a nullo tenebris damnabimur1 ævo — , Era io; cioè Stazio, di là; cioè nel mondo, rispuose quello spirto; cioè Stazio, lo quale non s’è anco nominato dall’autore, e però dice: Famoso assai: imperò che avea grande fama, ma non con fede ancora: imperò che non era fatto ancora cristiano. Tanto fu dolce mio vocale spirto; cioè tanto ebbi dolce prolazione e facundia di lingua, che Iuvenale satirico scrive di lui: Curritur ad vocem iucundam, et carmen amicæ Thebaidos: quando Stazio recitava in Roma, tutto ’l popolo vi correa; e però finge l’autore ch’elli dicea le sopra ditte parole. Che, tolosano, a sè mi trasse Roma; cioè che essendo da Tolosa, ch’è una città di Guascogna posta in sul confine de la Guascogna e Bretagna, fu mandato per lui da lo imperadore, e fu fatto cittadino di Roma, Dove; cioè ne la quale città, mertai; io Stazio, le tempie; cioè mie, ornar di mirto; cioè coronarmi poeta: coronavansi a quel tempo li Poeti co la mortella; avale si coronano col lauro, unde si chiama la corona poetica laurea. Stazio di là; cioè nel mondo, la gente ancor mi noma: imperò che questo fu lo nome suo, per lo quale mostra sè anco essere in fama, mostrando che ancora sia nomato. Cantai di Tebe; cioè de la destruzione di Tebe città di Grecia, la quale venuta a reggimento di Polinice et Eteocle filliuoli del re Edippo, di po’ l’eccecazione d’Edippo, che si trasse li occhi poi che2 trovò marito di Iocasta sua madre, fu assediata da Polinice perchè Eteocle nolli volea rendere la signoria, secondo li patti fatti tra loro, e da sei altri re di Grecia; ne la quale battallia questi due fratelli s’ucciseno insieme, e di questa materia fece libro Stazio che si chiama Tebais, e però dice che cantò di Tebe: cantare s’intende scrivere appo li Poeti, e poi del grande Achille; cioè che fece poi libro de la condutta fatta d’Achille a l’assedio di Troia per Ulisse e Diomede. Ma caddi in via; cioè io Stazio: imperò che moritte allora che ’l componea, co la seconda soma; cioè coll’opera d’Achille incominciata da lui: imperò che nolla recò a fine, secondo lo parere di Dante; ma secondo la promessione che Stazio fa nel proemio de l’Achillilleide3, chi guarderà bene vedrà osservato da l’autore quello che elli promisse secondo lo intelletto che direttamente si li può dare; ma sforsandolo un pogo, si può recare ad intelletto che non parrà osservata la promessa. Appresso se vede lo libro esser corretto, e non si sa che fusse corretto per al-

  1. dominabitur
  2. C. M. che si trovò
  3. C. M. Achilleide