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   [v. 34-54] c o m m e n t o    501

Virgilio e li altri scientifici stiano nel limbo ch’è a la entrata de lo inferno, secondo la sua fizione, e però dice dell’ampia gola: imperò che la entrata dello inferno è ampia, come appare ne la prima cantica; e, per mostrare che fusse di luogo unde potesse uscire, secondo la fizione, per mostrarli; cioè quello che per sè vedere non può; ecco la cagione, per ch’io ci sono, e mosterrolli; io Virgilio, Oltre; cioè più che quello ch’io li abbo mostrato, quanto ’l potrà menar mia scola; cioè la mia dottrina. E questo dice: impero che, secondo la lettera, Dante non può comprendere de la dottrina di Virgilio, se non la punizione dei dannati, e la purgazione dei salvati, come appare per lo sesto dell’Eneide di Virgilio, dove tratta dei 9 cerchi de lo inferno, e nel nono finge essere quelli che si purgavano, e ne’ campi elisi li purgati; e però finge Dante che alla entrata del paradiso delitiarum, innanti che passi lo fiume Lete, Virgilio l’abbandoni e lassilo, e Beatrice poi lo guida e fa guidare a Matelda.

C. XXI — v. 34-54. In questi sette ternari lo nostro autore finge come Virgilio dimanda Stazio de la cagione del tremuoto e del canto, e Stazio lo dichiara dicendo alquante notabili sentenzie, dicendo cosi: Ma dinne; tu, Stazio, se tu sai, perchè tai crolli; cioè tremuoti, Diè dianzi il monte; cioè del purgatorio, come ditto fu di sopra, e perchè tutto ad una; cioè insieme, Parve gridar in fin ai suoi piè molli; cioè infine a la marina ch’è intorno all’isula? Sì mi diè; dice Dante: Sì mi diè Virgilio, dimandando; di ciò Stazio, per la cruna; cioè per lo mezzo, Del mio desio; cioè del mio desiderio: la cruna è lo foro unde s’infila l’ago, che si fa nel grosso dell’ago nel mezzo, che pur co la speranza; cioè d’udire la soluzione del dubbio, Si fece la mia sete; cioè lo mio desiderio di sapere, men digiuna; cioè meno vollioso. Quei; cioè quello spirito lo quale non nomina, perchè ancora non à mostrato che s’abbia1 nominato, cominciò: Cosa non è; questa che tu dimandi, cioè del tremuoto e del canto, che; cioè la quale, sanza Ordine senta la religione; cioè in questo purgatorio, ch’è religione dell’anime che si purgano, non c’è niuna cosa temeraria e sensa ordine, come dice Boezio nel iv de la Filosofica Consolazione: Ne quid in regno providentiæ liceat temeritati, fortissimus in mundo Deus cuncta regit. — , De la montagna; cioè del purgatorio lo quale finge esser in monte, perchè la penitenzia è montamento a Dio, e che sia fuor d’usanza; cioè non ci sono cose nuove, nè fuor d’usanza. Dice s. Agostino: Nihil est novum2 in tempore apud eum, qui condidit tempora — . Libero è qui; cioè in purgatorio, da ogni alterazione: cioè

  1. Pongano mente i giovani con quanta proprietà i Classici adoperano l’ausiliario avere, al quale i non pratici sostituiscono essere, quando il verbo non sia un intransitivo riflesso. E.
  2. novi