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c a n t o x x i. | 495 |
127Se cagion altra a mio rider credesti,
Lassala per non vera, et esser credi
Quelle parole che di lui dicesti.
130Già s’inchinava ad abbracciar li piedi1
Al mio Dottor; ma elli disse: Frate,2
Non far, che tu se’ ombra, et ombra vedi.
133Et ei, surgendo: Or poi la quantitate3
Comprender de l’amor che a te mi scalda,
Quand’io dismento nostra vanitate,
136Trattando l’ombre come cosa salda.
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C O M M E N T O
La sete natural che mai non sazia ec. Questo è lo xxi canto de la seconda cantica, nel quale l’autore finge come, seguitando lo loro cammino, Stazio poeta tolosano s’adiunse con loro e dichiarò la cagione del tremuoto e del canto, e ricognovesi con Virgilio. E dividesi questo canto in due parti principali, perchè prima finge come, seguitando lo loro cammino, s’adiunse a loro Stazio preditto e dichiaròli la cagione del tremuoto e del canto; ne la seconda finge come si ricognove con Virgilio, et è la secunda: E ’l savio Duca: Omai, ec. La prima, che serà la prima lezione, si divide in parti quattro: imperò che prima finge come apparve loro, andando a loro cammino, Stazio preditto e salutolli; ne la seconda finge come Stazio, risalutato da Virgilio, intrò in parlamento con Virgilio, quive: Poi cominciò: ec.; ne la tersa finge come Virgilio dimanda Stazio de la cagione delli accidenti ditti di sopra, e Stazio si fa da lunga e dichiara de le condizioni del cielo di là, et incomincia quive: Ma dinne, se tu sai, ec.; ne la quarta finge come Stazio, procedendo nel suo dire, dichiara lo detto dubbio adiungendo notabili sentenzie, et incomincia quive: Trema forsi più giù ec. Divisa la lezione, ora è da vedere lo testo co l’esposizione allegoriche, o vero morali.
C. XXI — v. 1-15. In questi cinque ternari lo nostro autore, continnando la materia ditta di sopra, finge come andando col desiderio ditto di sopra, apparve loro nel cammino uno spirito, lo