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[v. 124-138] | c o m m e n t o | 485 |
morti già tutti li più suoi filliuoli, deliberò di mandare Polidoro suo filliuolo minore al re Polinestore con molto tesoro, acciò che, se le cose andasseno pur male, rifacesse la città, e così fece. E lo ditto re Polinestore, per avere lo tesoro, uccise Polidoro; e però l’autore ne fa menzione in questo luogo per abominazione de l’avarizia, e però dice: che ancise; cioè lo quale uccise, Polidoro; cioè filliuolo del re Priamo, che avea così nome. Ultimamente sì gridiamo: O Crasso, Dì tu, che ’l sai, di che sapore è l’oro; cioè dì tu, che ài assaggiato l’oro, di che sapore è. Questo dice, perchè Marco1 Crasso romano, mandato per lo senato e per lo populo di Roma a vincere li Parti, elli si lassò corrompere da loro per l’oro; et andato di notte occultamente dentro ne la città loro, per avere l’oro che li era stato promesso, fu preso2, nel cospetto de l’esercito in su le mura de la città li fu colato l’oro in gola, dicendoli: Tu ài avuto sete dell’oro, et oro bei; e però finge l’autore che quelle anime, secondo che finge che Ugo Ciappetta dicesse, parlasseno in vitoperio dell’avarizia. Talor; cioè talvolta, parliam l’uno alto; cioè con alta voce, e l’altro basso; cioè con bassa voce, Secondo l’affezion che a dir ci sprona: imperò che, secondo che l’omo è mosso dall’affezion dentro, così parla, Or a maggior et ora a minor passo; cioè secondo la materia maggiore e minore, de la quale noi partiamo: imperò che, secondo la materia, si muove l’affezione dentro. Et ora conchiude che quella voce, che uditte chiamare la Virgine Maria, fu la sua dicendo: Però al ben che ’l di’ ci si ragiona; cioè che ’l di’, come ditto è di sopra, non si ragiona se non de la virtù dell’umilità e povertà; et a quil bene parlare, Dianzi; cioè quando tu udisti quella voce, non era io; cioè Ugo Ciappetta, sol; cioè solo; ma tutti insieme parlavamo; ma perchè non udisti altra persona che me, ecco che assegna la cagione, ma qui da presso Non alzava la voce altra persona; che io, e però non udisti altri che me. E cusì mostra che Ugo Ciappetta finisce lo suo ragionamento.
C. XX — v. 124-138. In questi cinque ternari lo nostro autore finge come, partiti da Ugo Ciappetta, andando al loro cammino, sentitte uno nuovo accidente; cioè tremare lo monte, et uno grido grandissimo che procedea da tutti li spiriti, che si purgavano che cantavano3: Gloria in excelsis Deo. E la cagione di questo accidente fu, come apporrà di sotto secondo che finge l’autore. perchè uno spirito, che elli nominò4, era Stazio poeta tolesano, compiuto di purgare del peccato de la prodigalità che si purgava in quil medesimo cerchio del monte co l’avarizia, si partia di quello girone e montava all’al-