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ripensando sopra la risposta di s. Tomaso, e ripensando la condizione sua che era viziosa, e sentivasi avere sì bene operato nel reggimento del regno, che sapendo lo papa la verità elli lo priverebbe del regno, incominciò ad avere grande malanconia; e venuto in agrimonia1 d’animo stava come malato. Unde li medici suoi avvedendosi di ciò, lo dimandonno che pensieri elli avesse preso che li cagionava quella infirmità; e che se volea guarire, era mestieri che si tolliesse quello pensieri. Unde lo re Carlo manifestò lo suo segreto ad uno de’ suoi medici lo più segretario e confidente ch’elli avesse; allora lo medico disse: Di questo vi libererò, se voi volete. Et allora disse lo re: Fa ciò che ti pare da fare; e lo medico disse: Non c’è altro modo, se non di levarli la vita onestamente, inanti che iunga là. Disse lo re: Fa ciò che ti pare; allora lo medico andò di rieto a santo Tomaso, et iuntolo disse: Lo signor re m’à mandato, che sa che siete defettuoso, ch’io vi faccia compagnia e per onore de la sua corona. Allora s. Tomaso disse: Io sono contento di ciò che piace al signore. Andando per cammino, questo medico da inde a du’ di’ unse lo luogo, dove s. Tomaso andò, per fare l’agio de la natura, con uno veneno sì acuto che, postovisi a sedere, in poco tempo s. Tomaso uscitte fuora di questa vita; sicchè non giunse al sinodo, e così perfidamente operò lo medico, che s. Tomaso niente potette riferire del re Carlo al sinodo et al consillio, nè al s. padre; e però dice l’autore: e poi Ripinse al Ciel Tomaso; cioè s. Tomaso dottore novello. Tutte l’anime nostre sono create da Dio, e però si può dire che vegnano dal cielo, in quanto Iddio che le crea è in cielo; e però ben dice l’autore che Carlo ripinse; cioè fece ripingere al medico col veneno l’anima di s. Tomaso al cielo, unde era discesa per la potenzia di Dio creativa, che l’avea creata nel ventre de la madre sua, organizata e compiuto d’organizare lo corpo suo. per ammenda; cioè per ristoro et emendamento dell’altre cose mal fatte; et anco si dè intendere per lo contrario, et àe usato qui l’autore questo vocabulo ammenda in tre versetti per consonanzia, che non l’abbo ancora trovato più altro, se non in altra significazione; ma non in una medesma, come qui. Molte possano essere le cagioni, che a ciò lo indussono; cioè o per mostrare che si possa fare, o per fare colore retorico che si chiama traduzione2, che si fa in uno medesimo vocabulo preso in una medesima significazione, et in diverse.

C. XX — v. 70-78. In questi tre ternari lo nostro autore finge come lo ditto spirito; cioè Ugo Ciapetta, continuando lo suo parlare di quelli de la casa sua, manifesta e predice a Dante d’uno altro Carlo che venne in Toscana, che fu chiamato Carlo sensa terra, lo

  1. C. M. egrimonia
  2. C. M. tradizione,