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[v. 25-33] | c o m m e n t o | 469 |
mente, quelle del mondo lo dobbiano avere nel cuore ripensandolo, e ne la bocca raccordandolo l’una all’altra, quando fanno penitenza de la loro avarizia.
C. XX — v. 25-33. In questi tre ternari lo nostro autore finge come anco quello spirito, che ditto avea di sopra de la povertà de la nostra Donna, per esemplo induttivo al contentamento de la povertà, dicea ancora l’esemplo di Fabrizio e di s. Nicolao, dicendo: Seguentemente; cioè seguitando di po ’l primo esemplo, intesi; io Dante dire a lo spirito, che parlò di sopra: O buon Fabrizio; Questi fu romano, povero, molto virtuoso, del quale si legge ne le storie romane che, essendo mandato contra Pirro re de li Epiroti e tentato da lui che s’elli volesse tradire la republica di Roma, elli li darebbe molto oro, al quale1 Fabrizio rispuose, che li Romani non desideravano oro; ma signoreggiare a coloro che possedevano l’oro, e povero si morì, sicchè convenne che l’esequie si facesseno de la republica; e però dice: Con povertà volesti anzi virtute; cioè volesti inanti vivere virtuoso, Che gran ricchezza posseder con vizio; cioè diventar ricco et esser traditore de la patria tua, che serebbe stato grandissimo vizio. Queste parole; che ditte funno prima de la Virgine Maria, e poi di Fabrizio dice l’autore, m’eran sì piaciute; cioè a me Dante, Ch’io mi trassi oltra; cioè più inansi andai, per aver contezza; cioè cognoscenzia, Di quello spirto onde; cioè del quale, parean venute; le parole ditte de la Virgine Maria e di Fabrizio. Esso; cioè spirito, parlava ancor de la larghezza, Che fece Nicolao a le pulcelle; cioè santo Nicolao che fu vescovo di Bari: essendo giovanetto servo di Dio ne la città sua, che si chiamava Ameria ch’è in Grecia, et avendo revelazione che uno povero gentile omo era ne la città che avea tre filliuole bellissime, e non avendo di che notricarle, nè di che vivere, nè poterle maritare, s’era disposto di metterle nel luogo disonesto a guadagnare vitoperosamente, si mosse di notte con una tasca di denari che fosse sofficiente a la dota d’una di queste pulcelle, e sì la gittò in casa del suo povero cittadino; unde questi levato la mattina, andando per casa vedendo la tasca de la moneta e cognoscendo ch’era dono di Dio, levossi dal proposito e maritò la maggiore. Possa s. Nicolao andò anco di notte a la casa del ditto gentile omo, e gittò2 l’altra per la segonda, e poi l’altra per la tersa; sicchè lo gentile omo maritò tutte le filliuole, e condussele ad onore per la larghezza di s. Nicolao, che non fu avaro; ma larghissimo per
- ↑ Al quale; vogliamo avvertiti specialmente i giovani come qui il relativo torni soperchio; e che gli antichi, per non mancare alla chiarezza, esprimevano talora certe parole, quantunque non fossero necessarie. I Greci e i Latini ce ne possono fornire degli esempi. E.
- ↑ C. M. gittò la dota per la seconda, e poi altra volta per la terza;