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c a n t o   x x. 463

100Tanto è disposto a tutta nostra prece,1
     Quanto ’l di’ dura, ma quando s’annotta,
     Contrario suon prendiamo in quella vece.2
103Noi ripetiamo Pigmalion allotta,
     Cui traditor, ladrone e paricida3
     Fece la vollia sua dell’oro ghiotta;
106E la miseria de l’avaro Mida,
     Che seguì a la sua dimanda ingorda,
     Per la qual sempre convien che si rida.
109Del folle Acor ciaschedun si ricorda,4
     Come furò le spollie, sì che l’ira
     Di Giosuè qui par che ancor lo morda.5
112Indi accusiam col marito Saffira;6
     Lodiamo i calci ch’ebbe Eliodoro;
     Et in infamia tutto il monte gira
115Polinestor che ancise Polidoro.
     Ultimamente sì gridiamo: O Crasso,7
     Dì tu, che ’l sai, di che sapore è l’oro.8
118Talor parliam l’uno alto e l’altro basso,9
     Secondo l’affezion che a dir ci sprona,
     Or a maggior et ora a minor passo.
121Però al ben che ’l di’ ci si ragiona,
     Dianzi non era io sol; ma qui da presso
     Non alzava la voce altra persona.
124Noi eravam partiti già da esso,
     E brigavam di soverchiar la strada
     Tanto, quanto al poter n’era permesso:10

  1. v. 100. C. A. è risposto a tutte nostre
  2. v. 102. C. M. C. A. prendemo
  3. v. 104. C. A. Cui traditore e ladro e patricida
  4. v. 109. C. A. Acam ciascun poi si
  5. v. 111. C. A. il morda,
  6. v. 112. C. A. Safira;
  7. v. 116. C. A. ci si grida: Crasso,
  8. v. 117. C. A. Dil tu,
  9. v. 118. C. A. Talora parla l’uno all’altro
  10. v. 126. C. A. il poder