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[v. 127-138] | c o m m e n t o | 457 |
terrene; cioè pur ai beni terreni, Così giustizia; cioè divina, qui; cioè in purgatorio, o vero ne lo stato de la penitenzia, a terra il merse; cioè l’affondò, dandoli a ripensare lo suo peccato. Come avarizia spense a ciascun bene Lo nostro amore; cioè a ciascun vero atto, che risponda al sommo e perfetto bene, onde operar perdèsi; cioè che non s’operò: imperò che, tolto via l’amore del bene sommo e perfetto, si tollieno1 via li atti meritori che intendeno ad esso, Così giustizia; divina, qui; cioè in purgatorio, secondo la lettera; e nel mondo, secondo l’allegoria, stretti ne tiene; cioè noi, Nei piedi e ne le man legati e presi; e questo si dè intendere, come ditto è di sopra. E quanto fia piacer del giusto Sire; cioè quanto piacerà al giusto signore; cioè Iddio, Tanto staremo immobili e distesi; dice papa Adriano a Dante. E perchè di sopra ne la prima cantica, dove trattò de l’avarizia, io ne scrissi pienamente quanto fu besogno2 a la materia, però nollo replico qui, per non esser superfluo: chi lo vuole, cerchilo quive.
C. XIX — v. 127-138. In questi quattro ternari lo nostro autore finge com’elli vuolse3 riverire papa Adriano; ma elli lo riprese assegnandoli lo testo de l’evangelio di s. Matteo4, dicendo così: Io; cioè Dante, udito lo ragionamento di quell’anima che era stato papa, come ditto fu di sopra, m’era inginocchiato; per farli riverenzia sì, come a papa, e volea dire; forsi, santissimo padre, Ma com’io cominciai; come ditto è, che così s’usa di dire al papa, et el; cioè la ditta anima, s’accorse, Solo ascoltando: imperò che vedere non potea, che avea li occhi volti a la terra, sicchè co lo udire convenia che se n’avvedesse, del mio riverire; cioè de la riverenzia, ch’io li volea fare, Qual cagion, disse; cioè la detta anima a me Dante, dimandandomi: in giù così ti torse; cioè per che cagione ti se inginocchiato? Et io; cioè Dante, a lui; cioè a la ditta anima respuosi: Per vostra dignitate; cioè papale, che teneste nel mondo, Mia coscienzia dritta mi rimorse; di questo cioè che prima non avea fatto la debita riverenzia che si fa al papa nel mondo, al quale s’inginocchiano li cristiani e bacianoli li piedi, e dicenoli5: Santissimo padre; unde l’autore finge ch’elli rispondesse: Drizza le gambe; cioè sta ritto, levati su, frate; ecco che lo chiama fratello: imperò che tutti siamo fratelli in Cristo, Rispuose; cioè la ditta anima a me Dante, non
- ↑ Tollieno, intendeno; terze persone plurali, formate dalla terza singolare, aggiuntovi il no. E.
- ↑ C. M. era bisogno a l’avarizia, però
- ↑ Vuolse; dove l’u frammesso ne fa meglio distinguere questo perfetto da quello del verbo volgere. E.
- ↑ C. M. s. Marco, dicendo
- ↑ Bacionoli, dicenoli. I nostri Classici, aggiugnendo al verbo il pronome o la particella pronominale, non levarono sempre, come si usa oggi, l’estrema vocale. E.