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446 | p u r g a t o r i o x i x. | [v. 16-33] |
dette mostri di mare, e sono ditte tre, de le quali l’una canta con voce, l’altra con ceramelle, e l’altra con corde; e quando i marinari passano per lo mare, u’ elle sono, per loro dolce canto s’addormentano, et elle fanno periculare lo legno e pilliano la robba. Queste funno filliuole d’Acheloo, et erano con Proserpina quando fu rapita da Plutone; e però l’andonno tanto cercando, che funno mutate mostri alati e con code di pescio e volti umani, e funno traslatate in certe insule di mare presso a la Grecia. La verità fu che queste funno tre meretrici, le quali arrecavano quelli, che passavano per le loro insule, a povertà; e sono ditte avere ale et unghie: imperò che l’amore vola e ferisce; sono dette stare in mare: imperò che Venere, dia della lussuria, è finta nata in mare; e però dice l’autore che quella femina cantava: io son dolce Sirena; cioè io sono dolce, come una di quelle Sirene, cantava la femina descritta di sopra, Che i marinari in mezzo mar dismago; cioè consummo1. Tanto son di piacer a sentir piena; cioè tanto piaccio a chi mi sente cantare. Io volsi Ulisse del suo cammin vago; questa finzione fu posta ne la prima cantica, canto xxvi2, dove dice quivi: Mi diparti’ da Circe, che sottrasse Me più d’un anno là presso a Gaeta ec.: ne la quale finzione appare come Circe ritenne Ulisse seco uno anno col suo amore e col suo piacere, e levòlo dal suo cammino, come appare quive, Al canto mio; questo dice, perchè ’l diletto de la lussuria tenne Ulisse con Circe, che la fizione de le sirene e d’Ulisse non à qui luogo: imperò che Ulisse, come savio campò da loro, impeciandosi li orecchi, e legandosi all’albaro de la nave; e però si dè intendere de lo innamoramento di Circe, come ditto è, e qual meco s’ausa; dice ancora la ditta femina, cantando, che quello omo che con lei s’ausa, Rado sen parte; cioè da me, sì in tutto l’appago; cioè sì in tutto lo faccio contento, ch’elli non si sa partire da me. Questa finzione à posto l’autore qui, a dimostrare che chi mira la felicità mondana, defettuosa et ingannevile, sicchè ne pilli piacere, ella l’incanta; cioè la fama di lei suona come ella è ingannevile come la sirena, e come ella fa poveri del sommo bene li omini del mondo, che sono come marinari in mare. Questo mondo è similliato al mare
- ↑ C. M. consumo.
- ↑ C. M. xxvi. quando dice: Quando Mi diparti’
Geronimo e in altri Teologi che delle Sirene nacquer figlie nell’Eufrate, fiume che divide la famosa città di Babilonia: nè altro significano le Sirene e le figliuole, che donne piacevoli, o pur i piaceri sensuali medesimi, le quali con dolcissima armonia lusingando i sentimenti, fanno addormentare gli animi invaghiti e presi dal diletto. Tuttavolta nel loro canto, come si legge ne’ versi d’Omero e in quelli che furono poi trasportati nella lingua latina da Cicerone, le Sirene promettono le scienze o il sapere, ingannandoci in questa guisa col senso dell’udito, come il serpente ingannò Adamo col sentimento del gusto». E.