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[v. 16-33] | c o m m e n t o | 445 |
fetti; poi de la gola, che si stende ai diletti del gusto; poi de la lussuria, che si stende ai diletti del tatto. Io; cioè Dante, la mirava; cioè questa femina così descritta; e fa una similitudine, e come ’l Sol conforta Le fredde membra; cioè delli animali sensibili et anco dei vegetabili, come sono le rami1 e le frondi dell’erbe e delli arbori, che; cioè li quali, la notte aggrava; col suo freddo, facendo sentire alli animali sensibili le membra, e chinando l’erbe e li rami e le follie in verso la terra; e poi lo caldo del Sole ristora le membra fredde, e caccia col caldo la debilità del dolore generato per lo freddo, e così rileva l’erbe, li rami e le follie. Così; ecco che adatta la similitudine, lo sguardo mio; cioè lo ragguardamento, ch’io facea in verso quella femina, li facea scorta; cioè parlevile et intelligibile, La lingua; la quale prima era balba, e poscia tutta; cioè quella femina, ch’era così torta et imperfetta, la drizzava; cioè lo mio sguardo, In poco d’ora; cioè in poco spazio di tempo, e lo smarrito volto; di quella femina, amor; cioè immoderato, che l’omo àe ad essa, lo colorava; cioè li dava colore, Come vuole; cioè se la rappresentava tale, quale la volea. Per questa finzione dà ad intendere che la mondana felicità imperfetta e falsa pare a l’omo tale, quale elli se la rappresenta; e però che ella ci paia perfetta e vera, questo è per lo falso nostro vedere. E però dice Boezio nel terso libro della Filosofica Consolazione: Igitur te pulcrum videri non tua natura; sed oculorum spectantium reddit2 infirmitas; e nel secondo dice: Adeo nihil est miserum, nisi cur putes; contraque beata sors omnis est aequanimitate tolerantis. Et ecco che l’autore àe fatto qui quello, che finse che dicesse Virgilio nell’ultima parte del canto xvii, dove disse: Altro bene è che non fa l’om felice ec., Ma come tripartito si ragiona, Tacciolo, acciò che tu per te ne cerchi.
C. XIX — v. 16-33. In questi sei ternari lo nostro autore finge che, poi che per lo sguardo suo quella femina descritta di sopra fu mutata et appiattata la sua imperfezione, ella incominciò a cantare e mostrare chi ella era; e come n’apparve un’altra3, che ella fece manifesta, dicendo così: Poi ch’ella; cioè poi che quella femina, avea il parlar; cioè la lingua con che si parla, così disciolto; come ditto è di sopra, per lo sguardo mio, Cominciava a cantar; la femina descritta di sopra, sì; cioè per sì fatto modo, che con pena; cioè con fatica, Da lei avrei mio intento; cioè mia intenzione io Dante, rivolto. E dice quel ch’ella cantava: Io son, cantava; la ditta femina di sè medesma dicea, cantando: io son dolce Sirena: le Sirene4 sono
- ↑ C. M. li rami e le fronde
- ↑ facit
- ↑ C. M. come apparve un’altra femina che la fece
- ↑ Torquato Tasso nel suo Giudizio sovra la Gerusalemme, accennati questi versi dell’Allighieri, così espone «Si legge in Isaia, e dappoi in san